Quel Re folle salvò Parsifal e il Sacro Graal
Tocca i cinquant'anni, la Festa del Teatro; e, dal lontano 1947, non ha saltato un'estate, sempre con coerenza (anche se con varietà di risultati) allineando testi e autori di ispirazione religiosa o comunque spirituale, per cui l'insegna di «Teatro dello Spirito», della quale si fregia da un certo tempo l'Istituto del dramma popolare, promotore dell'iniziativa, non appare usurpata. Bisogna pur dire che titoli e nomi in cartellone (stranieri per circa due terzi) si sono rivelati, spesso, rari quanto preziosi. Quest'anno è stata la volta del Re pescatore di Julien Gracq, scrittore transalpino (classe 1910) dal solitario cammino e dalla vita appartata, vagamente imparentato, sugli inizi, al movimento surrealista, e animato da forti interessi metafisici.
Il Re pescatore (1948), del resto, è il suo solo lavoro concepito per le scene, ed è difficile non avvertirvi il sapore di un linguaggio più narrativo, diciamo anche letterario, che drammaturgico. Gracq riprende ed elabora qui a suo modo la materia di miti e leggende medioevali, già, diversi secoli addietro. Al centro di opere famose, in Francia e in Germania, e che s'imperniano sulla figura di Perceval ovvero Parsifal. Basta la parola, e si pensa subito a Wagner; ma, dalla musica al cinema (basti ricordare il film di Bresson), nessuna arte della rappresentazione è rimasta estranea al fascino del Puro Folle, dell'Incontaminato, del giovanissimo Cavaliere che, tra mille peripezie, muove alla ricerca del Santo Graal (il calice che raccoglie il sangue di Cristo, versato sulla croce). Decisivo, e insieme arduo, sarà, nella visione di Gracq, l'incontro di Perceval con Amfortas, il Re pescatore (ma, nell'originale, variando di pochissimo l'accento, quell'attributo potrebbe suonare come «peccatore»): custode indegno, costui, della sacra reliquia, tormentato, per le sue colpe, da una piaga ripugnante e dolente, quasi rovescio in negativo della ferita inferta sul costato di Gesù.
Chiamato a curare l'allestimento del Re pescatore, il regista polacco Krzysztof Zanussi (già presente a San Miniato, nell'85, con la supervisione del Giobbe di Karol Wojtyla) non si è certo dimenticato di essere, soprattutto, uomo di cinema; ed ha puntato, anzi, su soluzioni spettacolari che alcuni tra i suoi film migliori, con
la loro impostazione «da camera», tendevano a escludere; ma una certa «movimentazione», data la sostanziale staticità del testo, nel caso attuale si imponeva. Ed ecco la vicenda dislocarsi, volta per volta, su due palcoscenici situati, a distanza, l'uno di fronte all'altro, col pubblico che, in mezzo, si sposta, sui suoi sedili senza spalliera, per poter seguire le varie fasi dell'azione, Gli elementi aggiunti (a firma di Aldo Buti, come i costumi) s'integrano bene nella stupenda cornice scenografica che la piazza del Duomo offre di per sé; e quando, alla fine, la porta della chiesa si schiude, e ne irraggia il fulgore del Graal, tornato in buone mani, l'effetto è più che sicuro (le luci sono di Andrea Travaglia).
Guidata da Zanussi, in campo una formazione di discreto livello, ove fa risoluto spicco, nel ruolo di Amfortas, Giulio Brogi (originario, per inciso, di queste parti); affetto da una seria indisposizione, ma superando ogni impaccio, l'attore ha fornito, nella sofferta penetrazione di un difficile personaggio, una prova di quelle che non si dimenticano, ed è stato rimeritato di calorosissimi applausi. Vincenzo Bocciarelli, nelle vesti di Perceval, è apparso come un notevole esponente delle più recenti generazioni teatrali, da tener d'occhio.
In evidenza gli apporti di Piero Caretto, Francesco Meoni, Ludovica Tinghi, Katia Ciliberti e, in particolare, di Riccardo Garrone (il vecchio eremita), a lungo semidimenticato, ma rilanciato di recente (le vie del Signore sono infinite) da spot pubblicitari ai limiti dell'irriverenza. Lodevoli, anche, cavalli e cavalieri (autentici). E da ricordare, fra i collaboratori della realizzazione, Annuska Palme Sanavio, traduttrice, Luciano e Maurizio Francisci, curatori della colonna sonora. Lo spettacolo si replica ancora per stasera.
AGGEO SAVIOLI, L'Unità 24 luglio 1996
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