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Corriere dell'Umbria - La recensione di Romanelli
 

"I Templari": alla ricerca della verità
C'è un ricamo senza posa tra cabale politiche e ricerca della verità nella còlta e documentatissima drammaturgia de I Templari, di Elena Bono. L'autrice l'ha proposto per la Festa del Teatro, a S.Miniato, dove, da cinquantasei anni, nella magica Piazza del Duomo, si esplora la sacralità di testi che pongono l'uomo a cospetto con il suo destino e le domande che contano. Il dramma, pubblicato nel 1986, è ambientato nel 1310. In una magione nel Circeo sono segregati gli ultimi membri dell'Ordine Cavallesco, difensori del Santo Sepolcro. Lo ha recentemente soppresso, nel sangue e nei roghi, Filippo il Bello di Francia, che chiude per sempre la partita con i suoi più grandi creditori.
Pensato ben oltre il bozzetto storico, il testo, più che l'azione, scolpisce il senso e l'ambiguità delle parole, il significato del sacrifìcio e della devozione ad un credo profondo e interiore, che sorpassi ornamenti mondani, feroci convenienze di regime, squallore di tornaconti personali. Così 'quasi' nulla succede, se non il rogo finale, che salva gli iniqui e sacrifica puri e redenti nell'ultima, atroce ingiustizia. Nella finzione scenica costruita, per la
prima rappresentazione assoluta, da Daniele Spisa, e utilizzata dal regista Pino Manzari, il palco articola il confronto tra due mondi contrapposti, anche linguisticamente. In basso, si consuma il brulichìo degli 'ultimi': i prigionieri turchi; il servo testimone d'intrighi; il piccolo Alì, sintesi dell'innocenza d'Oriente e Occidente. Il coro doloroso e consapevole del popolo è nel dialogo in dialetto tra la prostituta Gisa (la fresca Maria Elena Camaiori), pronta al sacrificio per amore del morente novizio Amadeus, e Rocco da Sezze, templare pronto a rinnegare, che il navigatissimo Massimo Foschi ritrae con sincera e ruvida partecipazione nella pochezza dello slancio morale. In alto, il Precettore Templare (il teso e puntuale Marco Spiga), custode degli ambiti segreti dell'Ordine, in un impossibile compromesso tra il rigore della propria coscienza e la condanna a morte, contratta con l'Uomo Nero, mandato dal potere a reprimere e rubare informazioni. È il raffinatissimo Umberto Ceriani, che leviga parole altrimenti indicibili se affidate ad un attore privo del suo carisma, dell'arpeggio nelle sfumature, delle zone d'ombra e luce che fanno di lui un traghettatore esemplare dei modi e delle logiche del potere, della sopraffazione per abilità, arroganza e ragion di stato.
Ermanno Romanelli, Corriere dell'Umbria, 20 luglio 2002




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