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Giudizi critici sul romanzo
 

Bartolomeo de Las Casas è considerata la sua più grande opera narrativa. La prima traduzione in italiano di Bartolomeo de Las Casas fu realizzata nel 1942 su suggerimento di Han Urs von Balthassar. Per il grande teologo svizzero che lo definiva «una tragica arpa eolica»,  Schneider occupa un posto particolarmente importante nel panorama letterario del 900.

Hans Urs von Balthassar, infatti, lo annovera tra i suoi amici e ne cita le opere nei suoi scritti, oltre ad avergli dedicato nel 1953 un'ampia monografia dal titolo Reinhold Schneider. Sein Weg und sein Werk, ripresentata, poi, nel 1991, con il titolo Nochmals Reinhold Schneider, non ancora tradotta in Italia. Scrive: «quale forza di visione quando si tratta di far incontrare, incorrotti, la missione cristiana di una santità di rinuncia e il compito mondano di una amministrazione regale o principesca del potere: quale elevatezza nella posizione del problema, nella rappresentazione della lacerante dialettica tra i due regni, nella tragica autodistruzione reciproca, quando si confrontano i drammi storici e gli epici affreschi di Schneider, le luci lampeggianti delle sue novelle, il suono bronzeo dei suoi sonetti sul suo tempo con i futili vaniloqui oggi in voga dei teologi sul dovere mondano del cristiano moderno! Dove mai è stato altrove mostrato come qui, anche sul piano puramente formale, quella misura suprema tra vangelo e mondo, dove mai fu con tanta sicurezza postulata la rinuncia eroica del cristiano come indispensabile presupposto del suo agire nel mondo?».

G. Adolf-Altenberg ha scritto: «nella letteratura tedesca si parla talvolta di dioscuri; in più epoche vi furono contemporaneamente due grandi poeti, la cui arte rispecchia un temperamento diverso, per così dire diametralmente opposto: Gottfried von Strassburg e Wolfram von Eschenbach; Lessing e Klopstock; Goethe e Schiller... e anche nell'epoca moderna vi sono due grandi che rappresentano, ognuno nel suo ambiente artistico e culturale, l'arte poetica tedesca degli ultimi tempi: Thomas Mann e Reinhold Schneider.
E fatto assai significativo, dopo la scomparsa di Mann, fu scelto proprio Schneider a tenerne la commemorazione all'Accademia Tedesca.
Uno dei più grandi moventi del cuore umano, oltre all'eros, è il desiderio della potenza. Questa travolgente passione umana è stata fonte di ispirazione ai drammaturghi di tutti i tempi; questa passionalità in contrasto con i valori morali e con l'azione sublime della grazia forma il nucleo dell'arte drammatica schneideriana.
In certo qual modo si trovano delle somiglianze, o punti di riferimento, nell'arte e nella personalità di Schiller e di Schneider: ambedue idealisti, ambedue colpiti da grave malattia che troncò la loro vita precocemente, ambedue in lotta con elementi ostili, intenti a precludere la loro attività, ambedue arrivati alla gloria ed all'amore della nazione, in modo particolare della gioventù.
Schneider continua l'opera di Schiller, in quanto considera anch'egli la scena il luogo più adatto per una dialettica accortissima dei valori morali. Schneider considera l'arte drammatica la più efficace ed irresistibile per conquistare il pubblico, e la cerca con ostinazione che giunge fino all'arbitrio e al discutibile; egli è scatenatore di ansie, esploratore audace di quella misteriosa plaga che sta sospesa tra la miracolosa, cristallina obbiettività della verità e la non meno miracolosa passionalità sofferta e struggente, fino a dire l'indicibile che pure la verità porta con sé in stupenda contraddizione».

Non meno importante e lusinghiero è il giudizio di Italo Alighiero Chiusano che definisce Reinhold Schneider un «drammaturgo di levatura europea. (...) Di una sottile e tormentata, ma intimamente luminosa religiosità cattolica, Schneider ebbe, in fondo, (come accade a molti veri poeti), un problema solo, ma d'importanza altissima e reso in una straordinaria gamma di variazioni: il rapporto tra Grazia e potere, il difficile, spesso esasperante, a volte addirittura disperante quesito di quale sia la parte di Dio e del suo regno nell'atroce e assurdo intrico della storia, dalla più solenne e ufficiale alla più minuta ed oscura.
Nulla in quest'opera di edificante: è un teatro religioso nel senso più alto e terribile rivestito da questa parola da Eschilo in poi. Un teatro che consola l'uomo non con dolci linimenti ma col prospettargli tutta la tremenda sublimità guidata da Dio, ma in un modo segreto e imprevedibile che ci fa tremare, a volte, più di ogni atea desolazione. Un teatro senza concessioni di nessun genere, né spettacolare né sostanziale: eppure teatro in senso vero e profondo, dove è in gioco l'essenza stessa dell'uomo».




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