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La Stampa - La recensione di Masolino D'Amico
 

Se in «Praga magica» ci fosse il mare e nell'«Amleto» mancasse il dubbio
Oggi chiude l'originale Mittelfest di Cividale del Friuli, dedicato alla cultura mitteleuropea; fra gli autori proposti in più lingue sono stati Mann e Brecht, Hasek e Gogol. Al solito, lo aveva inaugurato un coinvolgente spettacolo corale di piazza concepito da Giorgio Pressburger, stavolta con Mimma Gallina. Nel passato l'avvenimento è stato spesso memorabile, ma l'idea di quest'anno è sembrata un po' macchinosa. Privilegiando la Cecoslovacchia, si è illustrato teatralmente nientemeno che «Praga magica» di Angelo Maria Ripellino, rappresentando punti del famoso libro qua e là per il centro della cittadina, per l'occasione svuotata e chiamata a recitare anche lei, ossia a fingersi, approfittando del buio, la capitale boema. Il sempre fedele pubblico del festival è stato quindi riunito alle 22 oltre l'antico ponte sul Natisone, ed esortato a seguire un funambolo simboleggiante Kafka che lo ha lentamente attraversato camminando sopra una fune tesa sulle teste. Poi non senza confusione la gente è stata
divisa in gruppi, che avviati per strette stradine hanno assistito a vari episodi in luoghi diversi, introdotti dalla turgida prosa di Ripellino registrata da Paolo Bonacelli. Due simpatici comici friulani si sono rifatti ai clown dadaisti Voskovec e Werich in uno sketch sull'assenza del mare da Praga; mimi cechi hanno fatto un quadro plastico di Praga ebraica, alla maniera di Kantor; Luciano Virgilio ha raccontato con vigore l'episodio della seicentesca sconfitta protestante alla Montagna Bianca, sdoppiandosi nel boia che decapitò ventisette nobili ribelli; Massimo Popolizio ha rievocato il regno del folle Rodolfo II; Guido De Monticelli ha ricostruito una bettola e un cabaret, ecc. Dalla collaborazione di più registi e attori è risultato uno strano Son et Lumière podistico, climaticamente arduo, terminato alle tre del mattino.
L'annuale festa del teatro a San Miniato ospita intanto fino al 28 Cavaliere di ventura, novità di Roberto Cavosi, autore che non cesso di considerare fra i più validi che abbiamo. Se si considera che oltre a questo, apprezzo Beppe Menegatti, stimo Virginio Gazzolo, e venero Carla Fracci, si capirà il mio imbarazzo quando dichiaro di trovare il testo insensato, e di conseguenza lo spettacolo uno spreco di talenti. Cavosi ha dato un seguito onirico all'«Amleto», con Fortebraccio cavaliere di ventura che medita sulla tomba di Ofelia, mentre come in un contrasto medievale assistono da un lato il Diavolo e la Morte, che ogni tanto parla in latino, e dall'altro due becchini, che parlano in perfetto italiano ma con strafalcioni inspiegabili; altri personaggi sono una fontana, un agrimensore - reminiscenza del surricordato Kafka - e il Principe del Dubbio. Per 150' (con un break) costoro dibattono senza che gli spettatori, presto rassegnati, capiscano la materia del contendere. Uscendo dal sepolcro, Ofelia balla romanticamente in bianco, e balla con un teschio anche un Amleto in nero con faccia spalmata di biacca; Maximilian Nisi è un diavolo vivace e Angela Cardile una Morte di forte vocalità. Insomma, la regia di Menegatti fa il possibile per movimentare, riuscendoci a tratti, ma la frattura fra palcoscenico e platea è insanabile. 0 forse sono io, controllate.
Masolino D'Amico, La Stampa 25 luglio 1999




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