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La recensione di G.A. Cibotto
 

La recensione

 

Bernanos, ovvero richiamo alla fede

Quando finiscono le cicale, tradizione vuole che gli informatori di cose drammatiche salgano i tornanti che portano dolcemente a San Miniato. Un luogo magico, dove ogni anno, di questa stagione, ha luogo la festa del teatro. Una manifestazione ormai giunta alle soglie del mezzo secolo (per l'esattezza quarantatré anni), che suole proporre con fermezza un repertorio sensibile al richiamo della spiritualità. In proposito credo basti citare qualche nome, affinchè il lettore si orienti facilmente in materia: Gheon, Fabbri, papa Giovanni Paolo II, Betti. Questa volta la scelta (quasi sempre felice) degli organizzatori è caduta su Georges Bernanos, sulfureo scrittore francese che ha legato il suo nome ad alcune polemiche memorabili, sfornando dei testi narrativi e saggistici di grande forza creativa (si pensi al «Diario di un parroco di campagna» ed ai «Grandi cimiteri sotto la luna»). Il suo copione di teatro più noto è certamente «Dialoghi delle carmelitane», che nato in funzione cinematogràfica è divenuto un appuntamento d'obbligo dei registi teatrali più noti del nostro tempo (l'ultimo nome è quello di Luca Ronconi, ovverossia la punta della genialità europea, con buona pace di chi lo giudica un virtuoso del capriccio in libertà).
Ad ogni buon conto non è sulla famosa variazione drammatica intorno ad un «fattaccio» del periodo rivoluzionario che gli spettatori della festa di San Miniato '89 vengono indotti a riflettere. Stavolta l'azione scenica rievoca l'intreccio del secondo romanzo sfornato dal noto scrittore di lingua francese, cioè «L'impostura», risalente all'anno di grazia 1927 (almeno secondo i più aggiornati repertori di letteratura francese). A tirarlo fuori da un lungo, impiegabile silenzio, ha provveduto una allieva del sulfureo Vttez, che dopo aver curato la regia dell'adattamento fatto da due sceneggiatori di cinema, ha pensato bene di accogliere l'invito dell'Istituto del dramma popolare breve, una combinazione felice, che per quasi tre ore ha letteralmente fastidiato il folto pubblico accorso dalle località più impensate, proponendo una tematica inconsueta ai nostri giorni (viziati palesemente di edonismo), che prende l'avvio dal gesto di un abate che scaccia un discepolo di professione giornalista. Alla base del gesto c'è il sospetto di un tiro mancino, in realtà a provocarlo è una crisi spirituale. Così grave da suggerire un incontro a vuoto del famoso teologo con un vecchio prete caduto in disgrazia, l'abate Chavance. fra una confessione, un tentativo di ritrovare le proprie radici ed il bisogno di aprire l'animo, l'intreccio drammatico, dopo una sorta di pausa, sfocia nel suicidio del giornalista deluso nelle ambizioni di far carriera e nella morte dell'anziano sacerdote relegato in disparte dalle autorità ecclesiastiche. Due episodi che finiscono per ricondurre l'abate Cénabre sul sentiero dell'ortodossia, mentre al suo fianco emerge, al di là del contrappunto sugli incerti confini di impostura e virtù, la figura della giovane Chantal, d'una purezza esemplare. Come è facile intuire dal breve accenno alla trama, il lavoro di Bernanos è di quelli che chiamano decisamente in causa la coscienza, e non concedono spazio alle seduzioni spettacolari. Vive cioè affidato alla bravura degli interpreti, che devono dare il meglio di se stessi. Per fortuna Roberto Herlitzka, Mario Maransana (nella parte del cane sperduto senza collare) e tutti gli altri interpreti, hanno saputo unire la densità alla misura, ed il risultato della loro fatica è stato un caldo applauso finale seguito da chiamate festose.

G.A. CIBOTTO Il Gazzettino, 28 luglio 1989




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