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Il Secolo d'Italia - La recensione di Mario Bernardi Guardi
 

Graal, nel nome del mistero
Il Graal come mistero, segno, evento. La cerca, l'avventura, l'itinerario iniziatico. Lazzardo della crescita. L'ambivalenza della luce illumina e feconda, accieca e brucia. La porta stretta della Grazia. Il Cristo celtico. La croce e la selva druidica. Lautorità spirituale e il potere temporale La liturgia eroica. La milizia cavalleresca. Il retroterra mitico. La trama simbolica. L'Ordine come elezione, progetto e direzione di vita, l'esoterismo cristiano. Le cifre magiche, alchemiche, ermetiche. Le influenze e percorsi culturali La fascinazione metapolitica. L'equazione esistenziale.
Le letture del Graal sono plurali E infinite le variazioni sul tema, le connessioni, le chiavi interpretative. La storia insegue la tradizione; l'antropologia chiede soccorso alla simbologia: la filologia interroga antichi codici sapienziali. E il segno/bisogno di Medioevo - che da decenni è uno dei contrassegni della cultura e dell'immaginario di Destra - si apre a biblioteche borgesiane, ardue e labirintiche come le foreste percorse dai cavalieri folli qua e là luccicanti di fulgori improvvisi, e poi pronte a precipitarti nel buio. Che cos'è il Graal? Quante cose è il Graal? Solo la coppa dell'Ultima Cena, quella che avrebbe contenuto il sangue prezioso di Cristo immolato sulla Croce? Che altro? E perché ogni suggestione appare, al tempo stesso suggerimento e deviazione? Assecondiamo tentazioni leggendarie che ci riempiono il cuore di antichi richiami, come se la memoria davvero si destasse agli archetipi: e navighiamo nel fasto sacrale di Wagner, ci abbandoniamo alle malìe della prosa di Julius Evola, lasciamo che i sensi subiscano l'incanto dei piatti più prelibati: il Graal e i Templari, il Graal e i Fedeli d'Amore, il Graal e i Rosa-Croce, fino al Graal dei massoni o dei cristiani con tentazioni eterodosse o dei nazisti affascinati dall'occulto... Lo scenario è mosso, molte le voci, molta la confusione sotto il cielo. Al mercato della Babele simbolica c'è anche tanta paccottiglia. Consolatrice, però: ed è grande il bisogno che abbiamo di consolazione, soprattutto di sovrumano nel grigio paesaggio dell'ordinaria mediocrità. Il Graal: come poteva non interessarsene il Teatro dello Spirito di San Miniato, festeggiando i cinquantanni della propria attività? Nascendo, nel '47, scelse a distintivo - e dunque a direttiva - quello di un appuntamento annuale col dramma d'autore, che non avesse contorni necessariamente edificanti, ma che seminasse nel cuore del pubblico domande anche difficili interrogativi anche dolorosi: se Dio è un rischio, come diceva Prezzolini, se il Cristo della pace evangelica è anche l'Uomo della guerra e della spada, che divide, nel nome della verità, i padri dai figli i fratelli dalle sorelle, i mariti dalle mogli, un proposilo cristiano alto è quello di frugare nelle anime perché il farsi male attraverso le inquietudini può essere occasione vitale. Se, naturalmente, l'attesa, diremmo l'intenzione di Dio, che, pur nel travaglio della domanda, è un movimento verso la risposta, è sincera. Se è sincera, brucia. Come la ferita di Amfortas nello spettacolo proposto quest'anno: Il re pescatore di Julien Gracq, traduzione di Annuska Palme Sanavio, adattamento e regia di Krzysztof Zanussi. Giulio Brogi è il re. Vincenzo Bocciarelli Perceval, Riccardo Garrone Trevrizent. E' una piaga purulenta quella del re del Graal per cui più non splende la fulgida coppa: il peccato commesso nel cedimento ai sensi origina una ferita che non si rimargina, ma versa sangue infetto. Piagato e piegato sotto il fardello di una regalità che non può esprimere perché le insegne della legittimità restano opache e Dio par essersi eclissato dal tetro castello di Monsarvage. Il tempo è fermo nell'attesa del Puro, dell'Incontaminato, del Folle (perché candido come l'amore per la verità) che possa stringere in mano la sacra coppa, restituendo salute al re e al regno. Perceval, tra dubbi, ripulse, fiammate di giovanile passione, è il predestinato.
Questa in sintesi, il testo di Julien Gracq, romanziere e saggista ottantaseienne, attratto dal mondo magico e leggendario e particolarmente interessato a segni e sensi della complessa materia di Bretagna. Quali adesso, i risultati in termini di ideazione e di rappresentazione scenica? Zanussi riesce a creare immagini fortemente evocative, a dominare e valorizzare le forme se già col Giobbe di Karol Wojtyla, rappresentato nel 1985, dette prova di grande maestria, conquistando lo spettatore con una serie di effetti speciali di sicura suggestione. Anche quest'anno la scena è ricca: sulla piazza del Duomo della cittadina toscana, gli spettatori sono chiamati a volgersi ora da una parte ora dall'altra, con gli occhi che inseguono Perceval a cavallo, contemplano le lotte dei cavalieri tra gli alberi. L'epressione figurativa tocca dunque sapientemente la corda emozionale: quel che forse manca - al di là degli innegabili pregi dell'interpretazione di Giulio Brogi e dell'indubbia professionalità di quella di Riccardo Garrone: un po' troppo concitato e stridulo, invece, il Perceval di Vincenzo Bocciarelli - è il sentimento - proprio in termini pirandelliani - del Sacro e del Mistero. Insomma, l'incanto inquietante, fastoso, enigmatico del Graal: l'intensità della problematica religiosa; la vibrazione spirituale di un messaggio cripticamente straordinario.
Il Graal che con potenza scenografica illumina la scena all'uscita dalla Chiesa di Perceval redentore, resta paradossalmente sullo sfondo come mito e come simbolo. Ma il pubblico, emozionato, applaude: lo Spirito soffia dove e come vuole, forse un'eco è giunta.
MARIO BERNARDI GUARDI, Secolo d'Italia 24 luglio 1996




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