La fine del tempio
Una imponente scenografia (di Daniele Spisa) chiude su un lato la scenografica piazza Duomo. Bel colpo d'occhio. Due torri gemelle tralicci di ferro a chiudere una sorta di spaccato archeologico (e mentale), ritrovamento e scavo. Due ambienti sovrapposti, un piano nobile, cupola e affreschi e una cantina sordida, umida e fumacchiosa. Sopra si discetta, si filosofeggia, si dialoga sui massimi sistemi si fa retorica e sfoggio di saperi, sotto si vive e sopravvive, il corpo soffre, la carne ribolle, le parole sono sporche e avide di concretezza. Su queste dicotomia, che è dialettica e oltre che spaziale, si dipanano I templari di Elena Bono, dramma robusto e pervicace che ha segnato la 56esima edizione della Festa del Teatro, venerabile istituzione (ora fondazione, la dirige Salvatore Ciulla) da sempre in cerca di sollevare lo spirito e la grazia del fare prosa (in senso squisitamente cristiano). Operazione nobile ma un po' fuori dal tempo e difficile da collocare, per certi versi straniante, anche perché sottile e ineffabile è l'etichetta che divide il teatro della carne da quello dello spirito, al di là di una troppa facile e schematica assunzione a priori di generi e linguaggi. Linguaggio che nel testo di Elena Bono è campo e controcampo, spaziando fra idioma nobile (al piano di sopra) e plebeo (nello scantinato), irrobustendo forse troppo la già robusta materia del contendere e non sempre pentagrammando quella musicalità che pure cerca e perlustra. Dei Templari, i Poveri Cavalieri di Cristo a difesa del Santo Sepolcro, mistici guerrieri, molto si favoleggia (il mito riluce e ristagna nella storia secolare della chiesa), che l'autrice riassume al culmine, nella fase distruttiva, imprigionati, torturati, finalmente soppressi, quando il tempo degli ideali è ormai finito. Dialoghi fitti, dispute accese, stacchi di vita quotidiana, da agro romano e albe su Anagni, il potere e la gloria, la morte sovrana, regia puntuale di Pino Manzari, protagonisti allenati Gabriele Carli, Umberto Ceriani, Marco Spiga e Massimo Foschi.
Gabriele Rizza, Il Manifesto, Roma, 24 luglio 2004
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