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Diego Fabbri

BIOGRAFIA
Diego Fabbri, nato a Forlì il 2 luglio 1911, realizza la sua formazione in un ambiente stimolante e ricco di fermenti spirituali precisando, sempre più compiutamente, i suoi interessi teatrali e le tematiche religiose. Nel 1936 si laurea all?università di Bologna in Scienze Economiche e Commerciali. Nel ?39 viene chiamato a Roma a dirigere la Casa Editrice A.V.E.; e dal 1940 al 1950 è segretario del Centro Cattolico Cinematografico. Inizia anche la sua collaborazione a ?La Fiera Letteraria?, di cui sarà condirettore con Vincenzo Cardarelli e di cui terrà la direzione fino al ?66, dopo la morte del Poeta. Il suo impegno concreto per un teatro nazionale e popolare si esprime nella dichiarazione del ?Manifesto per un teatro di popolo?, firmato nel 1943 con Pandolfi, Guerrieri, Costa, Pinelli; e nella fondazione, nel 1945, del ?Sindacato nazionale degli autori drammatici?. In campo teatrale si muoverà oltre Pirandello e Betti con drammi di forte tensione morale e religiosa, ma anche con vivaci critiche di costume, di cui sono esempio: ?Inquisizione? (1950), ?Il seduttore? (1951), ?Processo a Gesù? (1955), il suo maggior successo, rappresentato in teatri di tutto il mondo, ?La bugiarda? (1956), ?Il vizio assurdo? (1974, con Davide Lajolo, sul dramma di Pavese), ?Al Dio ignoto? (1980). Nelle stagioni ?60-?61 e ?61-?62 dirige il teatro romano La Cometa, dando vita ad una Compagnia Stabile, e promuovendo, in ogni modo, la partecipazione  del pubblico meno sensibilizzato. Nel ?68 è nominato presidente dell?ETI (Ente Teatrale Italiano), ove realizza una politica di espansione e di diffusione della cultura e degli spazi teatrali sul territorio nazionale. Negli anni ?73-?75 presiede la CISAC (Confédèration Internationale des Sociétés des Auteurs et des Compositeurs). Dal 1977 dirige la rivista ?Il Dramma?. Nello stesso anno l?Accademia Nazionale dei Lincei gli conferisce il premio ?Feltrinelli? per il Teatro.La sua intensa attività giornalistica lo ha visto collaboratore de ?Il Resto del Carlino?, ?Il Messaggero?, ?Il Tempo?.In campo cinematografico fu sceneggiatore e autore di dialoghi di una cinquantina di film (di De Sica, Blasetti, Marcellini, Germi, Clair, Rossellini, Antonioni, Dassin, Clement, Ferreri, Soldati, Comencini, Pietrangeli, Steno, Bunuel?) e coproduttore di tanti altri, tramite le società ?Orbis? e Costellazione?. Va inoltre segnalata la sua attività di sceneggiatore nell?ambito RAI-TV: basti ricordare gli adattamenti de I Fratelli Karamazov e i I Demoni di Dostoevskij, Il ciclo del Teatro Popolare, Le Inchieste del Commissario Maigret, Il sospetto di Dürrenmatt, La fine dell?avventura di Graham Greene. Muore a Riccione il 14 agosto 1980.
A San Miniato Diego Fabbri è stato presente tre volte: nel 1956 con Veglia d?armi (regia Orazio Costa), nel 1965 con la riscrittura scenica del romanzo di Bernanos Sotto il sole di Satana (regia Josè Quaglio) e nel 1980 con Al Dio ignoto, (regia Orazio Costa e Pino Manzari) ultimo suo lavoro.

Al Dio ignoto è il tema scelto per questa edizione del concorso ?Il teatro dello Spirito: nuove suggestioni? Estremamente significative le note di commento al testo redatte dallo stesso autore che riportiamo di seguito.

Apocalisse o Speranza? Perché ho scritto «Al Dio ignoto»

Gli attori, pur con le loro stramberie, velleità e presunzioni, prendiamoli sul serio, guardiamoli sempre come possibili rivelatori di una verità occulta. La loro vocazione intrattenibile, caparbia, quasi guerresca ce li fa apparire come dei mediatori di poesia e di verità. Spesso non sanno che dicendo, annunciando la poesia introducono alla verità, la rivelano. Quando se ne accorgono, cioè diventano coscienti di questa alta funzione che li rende simili a sacerdoti, si esaltano e sono presi da un ramo di follia, e possono compiere gesti memorabili. Perché si accorgono veramente di aver annunciato come verità le parole di Eliot o di Shakespeare, di Dostoevskij o di Blok e ne sono sconvolti tanto si sentono importanti e destinati a un compito di salvezza o di consolazione tra gli uomini.
Ora immaginate che un gruppetto, sette o otto, di questi attori illuminati, toccati da questa sorta di rivelazione riceva una visita inattesa dall'Ospite inatteso che, sconosciuto ai più, annuncia loro un tremendo messaggio rivoluzionario: « Se Gesù Cristo non fosse risorto la nostra fede sarebbe vana ». Chi viene a dirglielo è un viaggiatore che si chiama Paolo ed ha già detto queste cose, spesso inascoltato, a genti di molti1 paesi semplici e colte, violente e raffinatissime, ed ha ricevuto questa risposta di sufficienza: « Beh, su questa faccenda della resurrezione, ne parleremo un'altra volta », e se ne sono andati alle loro occupazioni. Ma può esistere davvero una occupazione seria se questo inquietante annuncio della resurrezione non viene risolto? E chi più e meglio degli attori potrebbe risolverlo, loro che hanno il dono unico di commemorare gli eventi ripetendoli così come avvennero, ricostruendoli nella loro concretezza, oggi così come accaddero allora ? E gli attori,  questi attori di una piccola,  forse  un po' sgangherata troupe girovaga, son presi dalla idea fissa e ambiziosa di ripercorrere i passi, uno ad uno, della resurrezione senza della quale il mondo moderno non può avere fede che conti e valga. Vogliono far vedere agli spettatori e nello stesso tempo a loro stessi i fatti così come avvennero per trame una conclusione, per aprire una speranza. Questo di! aprire una speranza, di ripetere una certezza, di offrire al termine di un lungo travaglio una verità autentica, che conti davvero per gli uomini sofferenti di oggi e di domani mi pare il compito del vero teatro, quel compito che ci veniva indicato dal nostro indimenticabile maestro Silvio d'Amico a cui voglio dedicare questa rappresentazione.
Il nostro è tempo di apocalisse. Spesso a voler interpretare i segni che i tempi ci offrono sembra si tratti di una apocalisse di sterminio, di conflitti sanguinosi, di morte senza speranza, ma il mio compito di autore cristiano ha voluto essere esplicitamente, con questo « Al Dio ignoto », quello di indicare invece una grande, smisurata speranza: che è la speranza nella resurrezione offerta a ciascuno di noi, individualmente, e alla società, e alle nazioni. E' un compito eccezionale che mi sono proposto, e ne sono stato consapevole, se è vero che conoscendo i limiti delle mie forze di poesia e di inventiva, ho eletto come collaboratori uomini come Eliot, Shakespeare, Blok e Dostoevskij. Amici che mi hanno accompagnato fin dagli anni della adolescenza e a cui devo tanto della mia formazione artistica ed umana. Ed altri amici forse meno illustri, ma non meno cari: primeggia una voce di poeta, Vera Gheraxducci, di cui ho scelto con tremore e commozione il canto: « E' passato il tempo... », scritto poche settimane prima della morte e che mi pare una testimonianza straziante della nostra condizione di uomini di oggi. E certe notazioni di Salinger sulla vita e la vera vocazione degli attori che mi son permesso di manipolare e adattare alla speciale articolazione di questo « Al Dio ignoto ». Ma il maggior merito del testo va ai collaboratori eccelsi, quelli che non mentono, e che hanno suggellato la loro verità con l'offerta della loro vita: Paolo di Tarso e gli Evangelisti, testimoni autentici della resurrezione, che ho inteso restituire attraverso le cento finzioni e suggestioni del teatro quali testimoni di verità. La Festa del Teatro Popolare di San Miniato non poteva non essere una festa di verità cristiana, poiché è proprio nell'animo del popolo autentico che son custodite le più autentiche parole di verità del Cristo risorto.


Diego Fabbri Losanna Clinica Nestlée, Martedì 8 Luglio 1980


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