L'Istituto Dramma Popolare di San Miniato
Il più antico festival di produzione d'Italia
Nell’estate del 1944, a San Miniato, le mine tedesche avevano distrutto il Teatro Verdi. Piccolo, ma sontuoso, era stato costruito sul modello della Scala di Milano.
Tre anni dopo, per merito di quattro sanminiatesi decisi a risollevare le sorti della cittadina devastata dal passaggio della guerra, vennero gettate le basi per un teatro che andasse incontro al popolo, proponendosi di interpretare le tensioni e le aspirazioni dell’uomo, con rappresentazioni da tenersi negli spazi deve gli uomini si incontrano: le piazze e le chiese.
L’Istituto del Dramma Popolare iniziava la sua attività all’insegna di San Genesio, patrono di San Miniato e protettore di moneta san genesiomimi; nell’agosto del 1947 venne infatti messo in scena “La Maschera e la Grazia” di Henri Ghéon, rappresentazione della vicende dell’attore pagano Genesio il quale, mentre recita, viene folgorato dalla Grazia e si converte al cattolicesimo. Lo spettacolo, affidato alla regia di Alessandro Brissoni, ebbe un grande successo e attirò sull’iniziativa sanminiatese le attenzioni della stampa nazionale e soprattutto di Silvio D’Amico che ne divenne, e ne rimase fino alla sua scomparsa, il primo sostenitore.
L’Istituto del Dramma Popolare nasceva, come si legge nello statuto,
“per ridare al popolo il suo teatro, per far sì che il teatro acquisti nella evoluzione sociale la sua missione guida. L’Istituto si propone con una diversa struttura materiale ed organizzativa del teatro, di rendere veramente accessibile al popolo il teatro stesso… E poichè il teatro, oltre ad avere una funzione artistico-culturale, deve avere anche e particolarmente una funzione etico-sociale, l’Istituto del Dramma Popolare metterà sulle sue scene lavori a sfondo e di ispirazione cristiana, sicuro di assolvere il suo compito, che à eminentemente educativo“.
Una dichiarazione di intenti a cui l’Istituto ha cercato di tener fede, pure nella difficoltà, che à andata via via crescendo, di reperire testi che avessero quelle caratteristiche e che, oltretutto, non fossero stati mai rappresentati in precedenza, un “vincolo” che à stato quasi sempre rispettato nelle cinquantacinque edizioni della Festa del Teatro che si sono svolte nelle chiese e nelle piazze di San Miniato.
Nel 1948 fu nominato Direttore Artistico dell’Istituto don Giancarlo Ruggini che ne fu l’infaticabile animatore per venticinque anni; andò in scena “Assassinio nella cattedrale” di Eliot, allestito con la regia di Giorgio Strelher, un successo memorabile che decretò la definitiva affermazione dell’Istituto del Dramma Popolare nel panorama teatrale italiano.
Negli anni seguenti, a firmare la regia dei vari spettacoli che hanno segnato oltre mezzo secolo di storia del teatro, furono chiamati maestri, quali tra gli altri, Orazio Costa, Luigi Squarzina, Franco Enriquez, Sandro Bolchi, Aldo Trionfo, Sandro Sequi e Krzysztof Zanussi.
Tra gli autori dei testi rappresentati, oltre ai già citati Gheàn e Eliot, figurano Copeau, Bernanos, Greene, Claudel, Fabbri, Silone, Pomilio, Luzi, Wiesel, Mann, Munk, Walcott, Strindberg, Bono ed anche il Pontefice Karol Wojtyla. Quanto agli interpreti, si può dire che il meglio del professionismo teatrale à passato da San Miniato e, in molti casi, à partito da qui: Giulio Bosetti, Ernesto Calindri, Rossella Falk, Arnoldo Foà, Carla Fracci, Nando Gazzolo, Giancarlo Giannini, Remo Girone, Giuliana Lojodice, Evi Maltagliati, Anna Miserocchi, Valeria Moriconi, Gastone Moschin, Ave Ninchi, Ilaria Occhini, Gianni Santuccio, Giancarlo Sbragia, Mario Scaccia, Arolodo Tieri, Luigi Vannucchi, Massimo Foschi, Eros Pagni sono solo alcuni degli artisti che si sono avvicendati nel corso degli anni sul palcoscenico della Festa del Teatro.
L’Istituto del Dramma Popolare di San Miniato, che à il più antico festival di produzione d’Italia, ha rappresentato un unicum nel panorama teatrale italiano ed europeo. I testi che in tutti questi anni sono stati rappresentati, appartengono ad una certa drammaturgia, definita “Teatro dello Spirito”, intendendo con ciò tutti quei lavori che si pongono il problema della ricerca del senso e del significato della vita, anche in maniera conflittuale e non risolta, e che anelano ad una risposta più alta, diversa da quello che il quotidiano può offrire, in un rapporto dialettico ed entusiasmante con l’alterità, vista non come limite, a volte opprimente, dell’uomo, ma al contrario come possibilità di risposta alle domande fondamentali dell’esistenza umana. L’ispirazione cristiana à quindi assorbita e digerita come essenza primordiale e ragione profonda dell’interpretazione della storia, come fonte di interrogativi e di possibili risposte, come radice culturale, sociale e spirituale, come possibilità di nuova vita.
Non un teatro confessionale, ma un dramma autenticamente popolare, che, a partire dai punti di riferimento culturali e religiosi del mondo occidentale, ricerca, a volte con fatica, altre volte con immenso dolore e sofferenza, una risposta diversa, forse apparentemente più difficile, ma l’unica per cui valga la pena di spendere l’esistenza.