Una riflessione sul cristiano nel mondo attuale
La XXIX Festa del teatro, promossa a San Miniato dall'Istituto del dramma popolare, ha ospitato quest'anno Il quinto evangelista di Mario Pomilio, messo in scena dal Teatro Stabile dell'Aquila per la regia di Orazio Costa Giovangigli.
Si tratta, come di consueto, di una proposta di carattere sostanzialmente religioso, condotta in nome di un'iniziativa ohe ha visto allinearsi, attraverso gli anni, testi più o meno illustri, tutti ispirati a una tematica e problematica cristiana.
Il fatto è che, anche volendo mantenerle la stessa impronta, la manifestazione soffre di un aspetto elitario che la distanzia dal tessuto sociale e culturale della cittadina, per la quale potrebbe anzi costituire occasione di confronto creativo e operativo con questioni e realtà di oggi. Se di Festa del teatro si tratta e di «dramma popolare» si parla, è ovvio che ne consegua un'esigenza di svecchiamento di struttura, di articolazione e di diffusione maggiori di proposte che, in qualche modo, incidano e coinvolgano la vita culturale cittadina.
Detto questo, ci sembra che il testo di Pomilio costituisca un ottimo spunto di dibattito e di verifica per i cattolici, in particolare tenendo conto di quanto a livello ideologico e politico si è sviluppato all'interno del mondò cattolico in questi ultimi anni. Il dramma, con una minima variazione nel titolo (Il quinto evangelista invece che Il Quinto Evangelio), corrisponde all'ultimo capitolo del recente e omonimo romanzo di Pomilio, nel libro stesso condotto e sviluppato in forma di dramma, sul quale l'autore è intervenuto per la messa in scena, con alcuni tagli, tesi a snellire un discorso che pur resta ricco e complesso, nutrito di questioni quanto mai suscettibili di riferimenti alla condizione del cristiano nel mondo attuale.
Il dramma è sostanzialmente imperniato sul dibattito, che in una sala di riunioni, parrocchiale per l'esattezza, vede protagoniste le diverse componenti sociali di una città della Germania negli anni Quaranta: militari del Terzo Reich, alta borghesia, studenti e un prete che funge da coordinatore della disputa. Tutti sono presenti nella loro condizione religiosa, cattolici, protestanti e anche atei, impegnati nella ricostruzione dell'identità morale e ideologica di Cristo sulla base delle testimonianze, spesso contraddittorie o divergenti, dei quattro Vangeli. Ne segue l'animazione di alcuni episodi della Passione, che provoca ad ogni personaggio un'ulteriore fisionomia, quella di Pilato e di Giuda, di Pietro e dei «ladroni». Il dibattito vede allora in azione tutti i termini principali del messaggio cristiano, il perdono e la colpa, la grazia e la predestinazione, ma attraverso il peso e l'eredità ideologica che vi aggiunge la collocazione personale e sociale di ogni interlocutore.
Il quinto evangelista, quale apparizione necessariamente impropria, risulta allora da un lato l'illusorio, auspicato depositario della verità unica e definitiva, dall'altro si precisa vangelo «in atto», emblema di una ricerca mai compiuta, ma che nel suo stesso perenne farsi conserva le proprie capacità di sopravvivenza e di vitalità. È ovviamente questo il personaggio che chiarisce il senso principale del dibattito, che sottolinea la portata «eretica» del messaggio cristiano inteso quale «alternativa permanente all'ordine ingiusto», infrazione e dissenso nei confronti del potere. In questo senso il contesto politico della Germania nazista acquista tutto il suo significato, come circostanza la più emblematica della sopraffazione e della repressione. Il finale che vede appunto il quinto evangelista imprigionato dall'ufficiale nazista, incatena alla storia le scelte di ciascuno, pur scaturite da un ambito che resta eminentemente morale.
Il testo di Pomilio ripropone dunque un teatro «di parola» che senza dubbio entra a far parte della nostra migliore tradizione in questo senso: il gioco delle parti degli interpreti, due volte personaggi, propone un rapporto antico e illustre nel nostro teatro, che è poi tutto affidato alla recitazione. Ma è proprio su questo piano che abbiamo avvertito scompensi e sfasature, che stonavano rispetto al rigore assoluto, talvolta però vicino all'inerzia, con cui Orazio Costa ha impiantato lo spettacolo. Un po' teatro-cronaca un po' teatro-verità, l'insieme non ha trovato la sua giusta dimensione sottraeadosi allo spessore teatrale che il testo possedeva o prevaricandolo. Né ci sembra che i due inserti musicali, a cura di Sergio Prodigo, si siano semanticamente fusi con lo spettacolo, costituendo, piuttosto che variazione teatrale sul tema, un ulteriore aggravio simbolico.
Fanno spicco nel folto cast di attori, tutti applauditi insieme con il regista e gli altri artefici dello spettacolo, Andrea Bosic, Aurelio Pierucci, Emilio Cappuccio, Giovanna Galletti, Mico Cundari, Giampiero Fortebraccio e Alberto Mancioppi.
Rita Guerricchio L'Unità, Roma, 21 Settembre 1975
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