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Il Corriere della Sera - La recensione di Magda Poli
 

Il dramma di un abate senza fede
Georges Bernanos, dopo la recente e bella edizione de I dialoghi delle carmelitane, curata da Luca Ronconi, torna sulla scena italiana in occasione della 43° Festa del Teatro a San Miniato, con la presentazione de L'impostura dramma tratto dal secondo romando del grande autore francese, pubblicato nel 1927.
La messinscena sanminiatese è firmata dallo stesso staff che nel marzo di quest'anno ha ottenuto notevole successo di pubblico e di critica nell'allestimento parigino: adattamento di Pascal Bonitzer e Gerard Wajcman, regia di Brigitte Jaques, scene e costumi di Emmanuel Peduzzi, musiche di Marc Oliver Dupin. L'efficace traduzione è di Luigi Lunari.
Nel suo romanzo Bernanos svela con forza e dolore (l'autore si disse dilaniato da questo libro) il dramma esistenziale dell'impostura, la lacerazione interiore di chi scopre la sua vita governata da un'ipocrisia continua e volontaria.
Protagonista di questo tenebroso viaggio nello spirito è l'abate Cénabre, raffinato teologo, un uomo di grande cultura che un giorno prende coscienza d'aver perso, o forse di non avere mai avuto, la fede. Di fronte al dilemma di come, o se cessare la menzogna, l'abate, con puro calcolo razionale, accetta di vivere come se ancora credesse.
La sua vicenda è ambientata in una società corrotta e ipocrita che massacra i «semplici» e i deboli e ha in sé i germi di quella destra che porterà con Pétain al tragico abbraccio con Hitler. Gli adattatori, senza la presunzione di una riscrittura, si sono fedelmente e felicemente affidati alla forza drammaturgica insita nel romanzo e sono riusciti a restituirne l'anima attraverso una opportuna scelta dei dialoghi, nell'opera già molto potenti e teatrali.
Hanno diviso la pièce in quattro notturni, così come il romanzo è diviso in quattro parti, quattro stazioni del viaggio di Cénabre dove le parole sono macigni che i personaggi si scagliano l'un l'altro in un gioco al massacro carico di menzogna e di grandi verità.
Nel suo itinerario Cénabre (Roberto Herlitzka) incontra il giovane giornalista Pernichon (Franco Catellano), e lo distrugge con raffinata cattiveria mostrandogli la piccolezza del suo animo piegato ai compromessi in nome di una carriera gestita da burattini abili e spietati.
Cerca nel colloquio con l'abate Chevance (Antonio Pierfederici) «dal cuore semplice e sicuro», con orgoglio e disperazione una assoluzione. Quindi il dramma interiore dell'impostura si allarga in un salotto di intellettuali, lo scrittore Gerou (Fernando Caiati), il giornalista Catani (Sergio Fiorentini), uomini di potere e altri prelati e sembra questo essere il momento più efficace del dramma quando si sente, come sostiene Bernanos, che la menzogna in terreno favorevole si riproduce più in fretta delle mosche dell'aceto.
Nella seconda parte il viaggio interiore di Cénabre riprende nelle continue provocatorie verifiche di se stesso nel confronto con l'innocenza muta di un bimbo, con l'invenzione spudorata di una vita costruita da menzogne di un mendicante (Mario Maranzana) e si conclude con la morte del «semplice», di Chevance, ma non certo con la sconfitta dell'impostura.
Il rigore della regia, che scenicamente si avvale di un fondale di nuvole e pochi arredi d'epoca, si trova a lottare, con alterne fortune, con una gestualità e una recitazione a volte straripanti e enfatiche. Lo spettacolo tuttavia si rivela di grande interesse e non si può non citare, tra gli altri, la buona prova di Roberto Herlitzka, Mario Maranzana, Ferdinando Caiati e Sergio Fiorentini. Calorosi gli applausi finali del folto pubblico.

Magda Poli, Il Corriere della Sera 22 luglio 1989




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