Bartolomeo de Las Casas era un duro, a San Miniato lo hanno susannatamarizzato
Bartolomeo Las Casas in Piazza del Duomo, a San Miniato. Toscana profonda tra Pisa e Firenze. Gran dispendio di Medioevo e di verdi colli. La rocca di Federico II , le memorie amare di Pier della Vigna, il calunniato protonotaro imperiale che Dante incontra nella selva dei suicidi. Le memorie dolci del giovane prof. Giosuè Carducci: "come strillavano le cicale lungo la china meridiana del colle di San Miniato al Tedesco".
Sede di un vescovado e di un seminario, un Pci che ai bei tempi sfiorava l'80 per cento dei voti, una celebre Cassa di Risparmio. Un Istituto del Dramma Popolare che da 57 anni fa "teatro dello spirito". Ma la carne è forte, lo spirito debole e la qualità decresce. Où sont, où sont les neiges d'antan, gli Eliot, i Maulnier, i Bernanos, i Claudel, i Greene? I nostri Cicognani, Silone, Luzi, Betti, Fabbri, Pomilio? Le regie di Costa, Strehler, Squarzina, Enriquez, Jacobbi? Didascalie in tutte le salse su un Dio filantropico e multietnico. Prediche politicamente correttissime sulle istituzioni brutte e cattive che reprimono lo slancio riformatore. I soliti noti con la pistola evangelica, la Trascendenza immanente, molta terra e poco cielo.
Ora,un personaggio come il domenicano Las Casas (a proposito, a cinquecentodieci anni dalla nascita, è stata avviata la causa di beatificazione) è scomodo sotto tutti i punti di vista. Perché, è vero, è un prete che sta dalla parte degli Indios contro la ferocia e l'avidità dei conquistatori e la timidezza delle istituzioni, ma è anche un predicatore e un evangelizzatore. Il suo slancio missionario mette in crisi il potere, cozzando contro gli interessi temporali della monarchia spagnola e portoghese, ma è, per l'appunto, slancio missionario, con una verità che lo anima e senza polpettine sincretistiche da far degustare agli indigeni. Las Casas è un profeta che inalbera la Croce e il suo mistero e, quando è necessario, si arma di sottigliezze teologiche, oltre che della sua ben attrezzata generosità, per difendersi da chi vorrebbe metterlo alle corde come pericoloso sognatore. E magari seminatore di disordine e di discordie. Ora, questo inquieto inquietante, cui non difettano né la passione né la dialettica, nel romanzo di Reinhold Schneider (Bartolomeo Las Casas, Jaca Book), c'è. C'è un po' meno nell'adattamento teatrale che ne ha fatto Roberto Mussapi per la Festa sanminiatese. E anche se Piazza Duomo e una stellatissima notte di luglio ce la mettono tutta in seduttività, la rappresentazione è fiacca. Parte bene, con bei tocchi di suggestività: una tempesta efficacemente lavorata al computer che investe il veliero su cui viaggiano, dal Nuovo Mondo verso Madrid, Bartolomeo Las Casas e Bernardino de Lares, cavaliere di Valladolid, che in America si è arricchito, ma ne ha viste di cotte e di crude, ed ora è gravato da complessi di colpa. Poi, mentre la tempesta continua e l'effetto scema, Franco Graziosi (Bartolomeo) e Beppe Chierici (Bernardino) prendono a dialogare su argomenti di varia umanità (e disumanità).
Buonismo con imprimatur imperiale
Recitazione affanoso-enfatica, con viscere strapazzate, quella di Chierici; legnoso,invece, Graziosi, che dovrebbe esser teso e vibrante, e che invece parla come un prof. di religione, scarsamente motivato nell'insegnamento della disciplina. Si va avanti così, in attesa di trovar una conferma di quello che Renato De Carmine ha detto in conferenza-stampa: "Lo spettacolo è di una bellezza incredibile".
Eccoci alla scena madre, con il rivoluzionario Bartolomeo e il conservatore Juan Gines de Sepulveda, tutto impettito nella sua professione di fede "law and order", che disputano,alla presenza di Carlo V (un assonnato Renato De Carmine): quale ha da essere una giusta politica cristiana nel Nuovo Mondo? Aspettiamo appelli all'emozione e contrappelli alla riflessione: nada de nada. Parolaio buonista con imprimatur imperiale. Bartolomeo, va dove ti porta il cuore.
Mario Bernardi Guardi, Il Foglio, Milano, 19 luglio 2003
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