Questo sito utilizza cookie tecnici, di profilazione propri e di terze parti. Se continui la navigazione, se accedi ad un qualunque elemento di questa pagina (tramite click o scroll), se chiudi questo banner acconsenti all'uso dei cookie.
Chiudi ed Accetta Voglio saperne di più
 

ARCHIVIO DI TUTTE LE EDIZIONI:

cerca all'interno del sito:

SEGUICI SU:


facebook youtube email



Ministero

Regione Toscana

ARCHIVIO
 
Il Giorno - La recensione di Ugo Ronfani
 

Quattro «notturni» della fede
L'imposture di Georges Bernanos (1888-1948) - il suo secondo romanzo, di insospettata teatralità, scritto nel '27, dopo Sous le soleil de Satan - ha fornito l'incandescente materia per la 43° Festa del Teatro a San Miniato, promossa dall'Istituto del dramma popolare, diretta dal salesiano Marco Bongioanni e organizzata da Paternieri e Zammarano. La versione sanminiatese deriva da un allestimento francese - accolto bene a Parigi - firmato da Pascal Bonitzer e Gerard Wajcman, tradotto con vigile adesione da Luigi Lunari e messo in scena dall 'attrice-regista Brigitte Jacques, che è stata allieva e collaboratrice di Antoine Vitez.
A San Miniato si continua una coraggiosa battaglia per la sopravvivenza del dramma religioso; L'impostura è spettacolo condotto con robusto piglio registico; il cast è di buon livello e Mario Maranzana compone una straordinaria figura di «barbone». Infine, la trasposizione en plein air studiata da Emmanuel Peduzzi (pochi mobili di una curia e di un interno borghese anni 20, un pannello di fondo con un cielo nuvoloso, sullo zoccolo del palcoscenico una strisciata di palazzi parigini; e poi la cornice verde di San Miniato.
Questo appuntamento con Bernanos induce perciò al rispetto; le riserve che farò più avanti non ne infirmano il merito.
L'impostura contiene già tutti i grandi temi di Bernanos. E l'adattamento teatrale rende con debordante fisicità (lacrime, svenimenti, colluttazioni, epilessia) la densità espressiva, quasi michelangiolesca, e la tensione crudele sottesa al romanzo.
L'abate Cénabre, rinomato teologo, perde la fede o, meglio, si accorge di non averla mai posseduta nella sua componente essenziale, lo spirito di carità. La tragica constatazione si verifica nel corso di due confronti che costituiscono il primo di quattro «notturni»: nell'irata, impietosa filippica con cui fustiga, in confessione, il giornalista cattolico Pernichon, che induce alla disperazione definendolo «piccolo uomo di piccoli peccati», e nella successiva, altezzosa pretesa di ottenere dal mite abate Chevance - che gli è stato maestro e conosce l'aridità del suo cuore - una comoda, equivoca assoluzione.
Nel secondo «notturno» siamo con Pernichon - che a me pare un tormentato autoritratto del giovane Bernanos - nel salotto dello scrittore Guerou, tartufesco, temuto personaggio della destra reazionaria che nasconde come può una vita di depravazioni. L'intrigante direttore di una pubblicazione conservatrice, Catani, fa sapere all'adirato Pernichon che il suo ardore riformista sarà stroncato; inutilmente il giovane cerca l'appoggio dell'irrisoluto vescovo Espelette e del visconte La-voine de Clergerie, padre della virtuosa Chantal, da lui amata. Sicché, recatosi da Guerou per fare le sue scuse, avendo scoperto la fornicazione del vecchio, poi travolto da una crisi di epilessia, con una prostituta bambina, disperato si ammazza.
Drammaturgicamente più compiuto, il terzo «notturno», nel quale Cénabre riappare coi suoi tormenti e il suo orgoglio, quasi fiero di essere portatore di una maledizione. E se l'esacerbato bisogno «di confessarsi» a uno spaurito chirichetto, dopo una delle sue empie messe tradisce qualche impaccio di regia, l'incontro-scontro con il mendicante Framboise, «fontana di bugie», parassita che oppone all'universale impostura il diritto a difendere il maligno Pulcinella che è in lui, risulta efficacissimo per l'estrosa bravura del Maranzana, candido e luciferino, verme umano che scopre inorridito il male assoluto nel razionalismo impietoso del teologo. Sarà proprio Cénabre, nel quarto «notturno», ad essere prescelto come confessore della figlia del padre di Chantal, consolatrice dell'abate Chevance in punto di morte: e così splenderà in epilogo il «sole nero» di Satana, il sigillo della ineliminabile impostura, ma soltanto perché rifulga il merito di chi resta fedele al regno di Dio.
Roberto Herlitzka è un abate Chevance di scavato vigore, macerato nel volto, secco nei gesti, irato nella sua diatriba con Dio. Antonio Pierfederici dà dell'abate Chevance un ritratto toccante per stemperata saggezza, disarmata sensibilità, dimessa obbedienza. Fernando Caiati è il sinistro Guerou; e dobbiamo alla sua robusta interpretazione se la scena dell'attacco di epilessia, dopo l'irruzione della prostituta bambina (Eliana Lupo) e del bieco servo tuttofare (Carlo De Meio) non scade nel grottesco. Buone le prestazioni di Franco Castellano (Pernichon), di Piero Caretta (il vescovo).

UGO RONFANI, Il Giorno 21 luglio 1989




© 2002-2021 fondazione istituto dramma popolare di san miniato

| home | FESTA DEL TEATRO 2023 | chi siamo | dove siamo | informazioni e biglietti | scrivici | partner | sala stampa | trasparenza | sostieni | informativa privacy | informativa cookie |

 

Fondazione Istituto Dramma Popolare San Miniato
Piazza della Repubblica, 13 - 56028 San Miniato PI
P.I 01610040501

Home