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L'introduzione di Marco Bongioanni
 

Chiusano: la contemporaneità della storia
A ben guardare, « la mia narrativa è nettamente scandita in ritmi teatrali, questo si vede a occhio nudo. In filigrana si nota che io penso teatralmente. Il dialogo è la spina dorsale di qualunque mio racconto. Poiché sono un visivo, tengo molto alla descrizione ambientale, che però rivela di solito i tratti della didascalia drammatica. Insomma, la mia vocazione numero uno è quella del Teatro... ». Così Italo Alighiero Chiusano in una conversazione che ho avuto il piacere di raccogliere personalmente discorrendo del suo « Sacrilegio », il dramma programmato per la XXXVI Festa del Teatro (16-21 Luglio 1982) a San Miniato.
La confidenza induce il critico a fare i conti con una sfida, perché lo scrittore sembra invece accentuare — « in copertina » e « in titolazione » — i caratteri dello « storico »: romanziere, narratore, teatrante, critico, poeta (Chiusano è versatilissimo) ma pur tuttavia « storico ». Credo che in ogni caso, anche quando Chiusano scrive davvero Teatro, il lettore viene come sferzato dalle scelte storiciste dello scrittore. La vita di Goethe non potrà più avere rivali per un bel po' di tempo, e con questa indagine storica bisognerà poi sempre fare i conti in futuro. Ma poi L'ordalia, questa sorprendente storia veridica e verosimile dell'anno mille, e La denota, freschissima « storia d'anime — come l'ha definita Volpini — collocata storicamente e geograficamente nel 1936 all'inizio della guerra civile di Spagna, in un paesino abbarbicato sui Pirenei a sei chilometri dalla Francia, e nella sua antica abbazia... » sono altrettante finestre sulla Storia.
Ecco insomma emergere lo storico. Ma intendiamoci. Moki romanzieri narratori e teatranti tendono a piegare la Storia — talora con forzature che toccano e persino sorpassano — la falsificazione: per « necessità » di racconto o per ottica ideologica. Chiusano no. Della Storia egli ha un sacrosanto rispetto. E' la Storia che conduce e condiziona lo scrittore, non viceversa. Della Storia Chiusano colma, se mai, i silenzi e non tanto con interventi di « fantasia » quanto con carica di « poesia »: ossia con sviluppi creativi consoni, ben sintonizzati con il dettato degli eventi attenti dal passato. L'alto ed esemplare canone manzoniano (a modo proprio, con altro stile, in tutta attualità) è stato recepito da Chiusano come raramente dalla tradizione letteraria del nostro Paese dove troppo spesso la narrativa il teatro il cinema fanno della Storia uno strumento insincero e pretestuoso. Dove va, allora, la qualifica di « opera storica »?... Nonostante la rigorosa fedeltà, la Storia nelle mani di Chiusano diventa tuttavia « contemporaneità ». Nella già citata conversazione egli mi sottolineava: « Finché non avremo capito, come i santi, che la nostra unica convenienza è fare la cosa giusta, non avremo capito che il problema del nostro
agire ha una sola soluzione e che al di fuori di questa soluzione saremo sempre in contraddizione con noi stessi, saremo sempre esseri umani moralmente incompleti. Io credo — aggiungeva a questo punto Chiusano — che nella storia del monastero di Farfa e di Ugo c'è un caso così completo di questa problematica, che sarebbe inutile andarne a cercare altri in epoche più vicine a noi. Non ci avrebbe dato niente di più se il fatto fosse successo nell'ottocento o addirittura oggi; quando il problema è posto con tanta chiarezza, prendiamolo pure nel medioevo e ci dirà tutto quello che ci serve, sarà contemporaneo a noi... ».
Questa contemporaneità tramuta la Storia in interiorità e religiosità. Ne fa una questione spirituale intcriore all'uomo d'oggi. Giustamente ha fatto notare Volpini discorrendo de La denota, che « in Chiusano resta costante — qualunque sia la natura della pagina — la motivazione coscienziale dell'intelligenza, vale a dire una umanistica completezza della creazione e del giudizio, l'accostamento diretto alla poesia ed una verificata proiezione in sofferenza, dei problemi. Ciò significa che quando opera criticamente (...) non acconsente mai alla divagazione o meglio alla distrazione delle parole: ne ha un rispetto austero quasi con una punta di calvinismo. E' insomma il riferimento etico ed interiore che contempla le sue immagini di vita e l'acume dell'intelligenza... ».
Diciamola ancora con Chiusano stesso: « La Storia mi interessa perché sono cristiano, ossia perché faccio parte dell'unica comunità religiosa al mondo che della Storia ha una certa visione: quella di una progressiva evoluzione verso un punto finale. Questo progredire, altri non ce l'hanno. Lo hanno i ' laici ' in una maniera che io non posso condividere perché non sono così ottimista da credere che certe nuove strutture sociali, che pure desidero, risolvano tutti i problemi dell'uomo e siano il cielo in terra. Le altre religioni sono ' cicliche ', sempre fisse su un medesimo punto, e non posso farle mie. Io credo di essere innamorato della Storia proprio perché come cristiano la sento come sviluppo, conquista, lotta, agonismo, superamento, realizzazione... ». Credo di interpretare correttamente Chiusano se dico che tale sua visione della Storia interessa non solo globalmente l'umanità, ma l'uomo singolo e ogni persona umana.
A questo punto posso riprendere il discorso d'inizio sottolineare con gioiosa sorpresa la confessione di preferenza « teatrale » fatta da Italo Alighiero Chiusano. Questo suo modo « drammaturgico » di scrivere Storia non è soltanto « stile », è soprattutto coinvolgimento di sé e del pubblico in un evento riproposto in attualità e in comunione. Silvio d'Amico avrebbe parlato di « religio » come legame, nel che egli faceva consistere il Teatro; ma nel caso si può parlare di « religio » nel senso più completo del termine, di un rito scenico dove la Storia si ripropone a « redimere » l'uomo perché l'uomo operi nel senso giusto. E questa — con ogni altra motivazione addotta — è  la  ragione precipua per cui il dramma di Chiusano «Il sacrilegio» è stato scelto per la XXXVI Festa del Teatro a San Miniato.
Marco Bongioanni




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