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Stampa diocesana novarese - La recensione di Fornara
 

Un Re pescatore non basta per ridare splendore al santo Graal
La sera di giovedì 18 luglio 1996 la stupenda Piazza del Duomo di San Miniato al Tedesco, in provincia di Pisa, ha accolto l'anteprima de Il Re pescatore del francese Julien Gracq. Con questo dramma l'Istituto del Dramma Popolare ha raggiunto il 50° anno consecutivo di vita e di lavoro, per quella che, a detta di tutti, è ormai ritenuta una delle poche, se non l'unica, realizzazione di un  "teatro dello spirito ".

IL SANTO GRAAL
La storia del Re pescatore (ma in francese si pronuncia identico a "peccatore"), tratta dai miti celtici e bretoni, riprende l'immortale leggenda del santo Graal, quel calice, cioè, che, usato da Gesù nell'Ultima Cena per la consacrazione del vino, avrebbe poi raccolto il sangue dello stesso Gesù sulla croce, ad opera del discepolo nascosto Giuseppe d'Arimatea. Dopo vicende complesse, il santo Graal sarebbe riapparso sullo scenario storico attorno all'anno mille. Per averlo si sarebbero battuti fino alla morte principi e cavalieri, re e legionari.
Sulla sua "storica leggenda" o sulla sua "leggendaria storia" nacque poi il ciclo letterario della Tavola Rotonda, che ebbe il suo massimo splendore in Francia, Spagna ed Inghilterra.
Comunque, al centro di tutte queste vicende, ovviamente letterarie, sta un fatto di notevole importanza morale: a ritrovare e custodire il santo Graal potrà essere solo una creatura della massima purezza, a cui spetterà anche l'onore di rivedere una portentosa luce, che dal ritrovato Graal emana.

LE VARIE STRADE
Tutto ciò è raccontato da mille autori, a partire da Chrétien de Troyes, fino al Parsifal di Wagner. Julien Gracq ha rivisto tutti questi miti e li ha unificati nella sua storia teatrale, che vede il re Amfortas, interpretato da un Giulio Brogi di grande intensità, ."combattere",. ma solo a parole ed a furbizie, con il giovane Perceval, uno stupendo Vincenzo Bocciarelli, che alla fine avrà la meglio. Inutile sarà anche un tentativo di seduzione da parte di Kundry, l'amante del Re, una splendida e dolcissima Ludovica Tinghi, così come inutili saranno i tentativi del mago Clingsor, un applauditissimo Piero Caretto, di ottenere con le sue arti ciò che spetta solo al puro Perceval.
Il quale è messo in guardia anche dall'eremita Trevrizent, un suadente Riccardo Garrone, che gli contesta come giusta la strada dell'avventura per la gloria. Ma alla fine Perceval entra nel cuore anche del vecchio eremita, che finisce per indicargli il cammino giusto verso il santo Graal.

PESCATORE O PECCATORE?
Questa la storia raccontata da Il Re pescatore, che tale appare nella seconda delle tre parti del dramma, quando in effetti lavora su di una simpatica barchetta e quando riesce a portare a terra un grosso pesce. In realtà, l'Autore vede questo come un "Re peccatore", più che pescatore. Ed in effetti è così, tanto che una turpe piaga si è ormai annidata nelle sue carni, visto che nell'anima sua c'è già la piaga del peccato. Dunque, per raggiungere il santo Graal, che è poi Dio stesso, non basta né la prestanza fisica di un Re, né la pietà amorosa di una concubina, né la fanciullesca allegria del giullare Kaylet, uno strepitoso Francesco Miconi, nella servizievole assiduità dell'ancella Geltrude, una accattivante Katia Ciliberti, e neppure la saggia normalità del monaco. Ci vuole coraggio, costanza, umiltà, lealtà, soprattutto purità d'intenti e di opere.
Perchè, giunge a dire il Re Amfortas al giovane Percevai, «è terribile per un vivente essere chiamato da Dio a respirare la sua stessa aria», ma è questa l'unica vera strada per giungere a Lui, la strada della purezza e del distacco.

LA REGIA DI ZANUSSI
Se di primo acchito eravamo dubbiosi su questa scelta per commemorare il 50° dell'Istituto del Dramma Popolare, già durante la rappresentazione avevamo decisamente cambiato parere, resi entusiasti prima dalla recitazione, sempre all'altezza della situazione; poi dalla musica, affidata in particolare alle voci di due giovanissimi, Samuele Lombardo e Claudia Mugnaini, che, dalle finestre del Palazzo Vescovile e del Palazzo della Pretura, eseguivano brani di un ineccepibile gregoriano; poi, dalla scenografia, semplice per la reggia, popolare per la sponda marina, accecante nell'ultima sequenza, dalla porta centrale del Duomo.
Tutto   questo   pensato, voluto e realizzato da quel "mostro" della regia, che risponde al nome di Krzystof Zanussi, da noi già ammirato a San Miniato nel 1985, quando realizzò il Giobbe di papa Wojtyla. Questa volta Zanussi ha ricreato i tre tempi dell'opera, facendo letteralmente ruotare lo spettatore su se stesso. A tale scopo, sul parterre non c'erano né sedie né poltrone, ma semplici sgabelli, che consentivano in breve tale trapasso dalla prima scena, collocata davanti al Palazzo Vescovile, alla seconda, posta verso  la valle  dell'Arno, per tornare, nella terza, ancora alla reggia, e per chiudere, infine, a mò di suggello, con l'ostensione luminosissima del santo Graal dal portone centrale del Duomo.

SEMPRE ALLA RICERCA
Forse la nostra è stata una interpretazione troppo semplice della storia, narrata da Julien Gracq, la cui opera è tutta una ricerca mai soddisfatta, in cui, comunque, lo spiritualismo di Bergson e di Maritain trova grande accoglienza. Forse Gracq aveva pensato a questo Perceval come al cavaliere errante de Il settimo sigillo di Bergman; certo aveva immaginato una soluzione "globale" della ricerca del santo Graal, in cui anche il Re finisse per prendervi parte nella sua ritrovata innocenza. Come dire che la magica parola di Bernanos "Tutto è grazia! " è qui sempre presente: nella purezza di Perceval, nella pietà di Kundry, nella sofferenza di Amfortas, nella logica dell'eremita, nella fanciullaggine del giullare; e perfino nella carnosità di Geltrude e delle altre ancelle, nello sperimentalismo del mago, nella truce severità dei cavalieri di Monsalvage. Quando c'è la buona fede e l'onestà della ricerca, tutto diventa grazia, tutto conduce al santo Graal, tutto conduce a Dio.
Perchè, dice Paolo in Corinzi 12, 4-11, «vi sono diversi doni, ma uno solo è lo Spirito; vi sono vari modi di servire, ma uno solo è il Signore; vi sono molti tipi di attività, ma chi muove tutti all'azione è sempre lo stesso Dio. In ciascuno, lo Spirito si manifesta in modo diverso, ma sempre per il bene comune. Uno riceve dallo Spirito la capacità di esprimersi con saggezza, un altro quella di parlare con sapienza. Lo stesso Spirito concede ad uno la possibilità di fare miracoli, e ad un altro il dono di essere profeta. A questi dà la capacità di distinguere i falsi spiriti dal vero Spirito, a quello il dono di esprimersi in lingue sconosciute, ed a quell'altro ancora il dono di spiegare tali lingue».
I  miei lettori mi perdoneranno la lunghezza della citazione paolina, ma credo siano anch'essi dell'avviso che quel moderno "Tutto è grazia!" parta da qui.
Che alla ricerca di Perceval si unisca dunque la nostra ricerca: il santo Graal ci attende. Si chiama "regno dei cieli", che illumina l'esistenza del cristiano come attesa della parusìa, ma che, soprattutto, è già dentro di noi, come granello di senape, o come un pizzico di lievito, o come un tesoro nascosto, o come una perla preziosa, o come una rete da pesca, come dice Gesù al capitolo 13 del Vangelo di Matteo.
Il santo Graal è questo "regno dei cieli", che è alla portata di tutti: basta un nuovo piccolo sforzo verso l'alto. E crediamo che non ci sia chi non vorrà farlo.
BARTOLO FORNARA, Stampa diocesana novarese 27 luglio 1996




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