L'apostolo degli Indios
La Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato (suggestivo luogo dove approdare è sempre una festa, almeno per chi serbi attenzione alle cose dell'arte) ha scelto per la sua cinquantasettesima edizione un adattamento teatrale di Roberto Mussapi dal famoso testo di Reinhold Schneider su Bartolomeo de Las Casas. Per chi non avesse dimestichezza con la letteratura tedesca, va precisato che quest'anno ricorre il centenario della nascita di Schneider, vissuto dal 1903 al 1958, e ritenuto uno dei più grandi esponenti della letteratura novecentesca. Anche se, per dirla con la nota del programmino distribuito in Piazza del Duomo, fermentante di appassionati giunti un po' da tutta le regione, ha quasi sempre posto al centro della sua opera, e anche del Bartolomeo Las Casas, il problema del rapporto tra Grazia e Potere, tra spiritualità evangelica e machiavellismo della storia. Con risultati invariabilmente sorprendenti, nonostante l'angolatura decisamente polemica delle vicende descritte sul filo di un ritmo incalzante e serrato.
Non è il caso di scendere a particolari, talora inquietanti, ma semmai di passare al lavoro andato in scena per la prima volta nella cornice suggestiva del paese toscano sul quale esiste una raffinata letteratura, dedicato alla parabola umana e spirituale di Bartolomeo de Las Casas, compagno di viaggio di Cristoforo Colombo nella sua seconda traversata alle Indie Occidentali per curare gli interessi della famiglia che ivi possedeva vaste estensioni agricole. Insomma pareva che adeguandosi allo stile imperante nei paesi allora dominanti il sulfureo Bartolomeo fosse destinato a battere il sentiero della ricchezza, quando nell'anno di grazia 1510, messo in crisi
dall'incontro con un padre domenicano che invitava quanti incontrava nella sua esistenza a privilegiare le ragioni dell'anima, ha voltato le spalle alla cosiddetta gioia di vivere, imperniata in quasi tutti i paesi sulla ricchezza, per diventare sacerdote e difendere degli indigeni condannati a vivere in povertà, maltrattati dai nuovi padroni. Con una tale dedizione da venire chiamato l'"Apostolo degli Indios", in pratica schiavi senza alcuna possibilità di lottare per un minimo di tranquillità. Segno che dall'istante della conversione, Bartolomeo de Las Casas, ha regalato la sua esistenza al prossimo, in obbedienza ai dettami della carità cristiana seguita con rigore esemplare. Ed è giusto su questo slancio dell'animo che lo spettacolo su "Bartolomeo de Las Casas" inscenato per la Festa del Teatro in questi giorni a San Miniato con Franco Graziani e Renato De Carmine diretti dal regista Giovanni Maria Tenti, ha fatto rievocare il momento del non facile ritorno in terra spagnola. Per sottoporsi come illustrato dalle ultime battute della "spiega" distribuita agli spettatori presenti in Piazza del Duomo, al processo alquanto difficoltoso nel quale il famoso personaggio della tradizione cattolica è stato chiamato in causa davanti a Carlo V per la rigidezza dei suoi criteri di gestione nel paese conquistato.
Come è facile intuire l'opera di Reinhold Schneider è un intreccio di eventi che hanno talora da spartire con i problemi inquietanti la coscienza degli uomini di fede, eppure per merito degli interpreti tutti degni di elogio da Franco Graziosi nel ruolo del protagonista, a Renato De Carmine interprete della maschera impietosa di Carlo V, a Beppe Chierici, a Franco Sangermano, a Walter Toschi, a Roberto Birindelli hanno strappato caldi applausi al nutrito pubblico accorso all'evento annuale della Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato, che a ripensarci, assai di rado sbaglia scelta.
G.A. Cibotto - Il Gazzettino 23 luglio 2003
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