Il romanzo Bartolomeo de Las Casas ha inizio in un porto del Nuovo Mondo: traffico, agitazione, carico nelle stive, si sta per salpare. La riduzione teatrale che ho realizzato inizia subito dopo, cioè nel cuore della vicenda di Las Casas e non solo: Oceano, tempesta, vascello scosso e cigolante, cataratte d'acqua, il frate che si rivela grande marinaio, non solo, timoniere: simbolicamente, colui che tiene la rotta nella devastazione del tifone e guida alla salvezza la comunità in viaggio sulle onde. Motivi tecnici evidenti: inutile una scena di pura partenza quando tutto si svolgerà altrove. Gli episodi significativi di quella fase possono essere riassunti nei dialoghi a bordo o anche dopo. Se Las Casas non si fosse profilato, nel romanzo di Schneider, come una figura di navigatore e di timoniere nel furore di una tempesta, la sua vicenda, pur memorabile e a mio parere degna di santificazione, sarebbe rimasta per me esemplare ma non suggestiva a livello drammaturgico.
La tempesta, il viaggio per mare, la realtà dell'oceano e dell'abisso sono da sempre cardini della mia riflessione poetica, e trovano trattazione in un volume di saggi, Inferni, mari, isole (Bruno Mondatori, 2002). Las Casas difensore degli oppressi, certo, custode della loro memoria in quanto difensore del loro libro e alfabeto, certo, dato che la custodia della memoria è compito poetico per antonomasia. Difensore dell'altro, dell'uomo dell'altro mondo, certo, la poesia è la ricerca della coincidenza con l'altro, in sé, e di se stesso nell'altro. Ma grande traversatore di oceano, grande navigatore battezzato da quel Colombo la cui vita fu più tormentata da un alternarsi drammatico di splendori e ombre. La via di Las Casas è in ascesa, dantescamente dal buio dello smarrimento alla chiarezza della visione.
E non a caso, credo, la vicenda di padre Bartolomeo e Bernardino ha inizio nel buio di una stiva, ventre della nave, ma anche luogo sotterraneo, oscuro, infero.
La storia in scena inizia con un viaggio per mare cripticamente ricordato durante la stesura del testo, così come le criptiche citazioni shakespeariane sperano di evocare la magia della Tempesta in relazione a una magia che si svolge duramente nella storia.
Las Casas è un grande personaggio del secolo che vede ribaltarsi la visione del mondo, come Galileo, Copernico, Shakespeare. A Galileo e ai coevi corsari, nuovi viaggiatori dell'età elisabettiana, sono ispirate alcune mie opere teatrali. Da Shakespeare, che rovescia il mondo quanto Galileo e Copernico, nasce per me la ragione stessa della scrittura e della rappresentazione drammatica moderna. Las Casas, nato solo un po' prima, è un loro contemporaneo.
Abituato a scrivere come autore, anche quando sceglievo l'imitazione dichiarata di un testo, con tutte le libertà metamorfosanti che tale assunto implica, ho presto compreso che la Fondazione mi chiedeva un lavoro più modesto, ma non più facile, di adattamento di un romanzo che ha incontrato in quella sede un amore di cui l'autore, mi auguro, dalla sua attuale residenza, abbia contezza.
Ho quindi rispettato al massimo la struttura dell'opera di partenza, intervenendo sul linguaggio, asciugando lo stile e rendendolo più battente, come esige il teatro contemporaneo che non può prescindere dalla sillabazione beckettiana, dalla risonanza fisica della parola sul silenzio. Spero di avere realizzato il desiderio di chi ha voluto quest'opera in scena e il mio stesso: che Bartolomeo de Las Casas scompaia dalla cronaca per assumere la vita ambigua e fantasmatica dei personaggi, che entri nel teatro per dissolversi a ogni replica, che insomma diventi una ambigua presenza, inafferrabile come lo sono le apparizioni sul palcoscenico, ma per questo durevole nella nostra immaginazione, dove il teatro, nutrito di storia, la dissolve e supera.
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