Questo sito utilizza cookie tecnici, di profilazione propri e di terze parti. Se continui la navigazione, se accedi ad un qualunque elemento di questa pagina (tramite click o scroll), se chiudi questo banner acconsenti all'uso dei cookie.
Chiudi ed Accetta Voglio saperne di più
 

ARCHIVIO DI TUTTE LE EDIZIONI:

cerca all'interno del sito:

SEGUICI SU:


facebook youtube email



Ministero

Regione Toscana

ARCHIVIO
 
La Gazzetta del Mezzogiorno - La recensione di Ermanno Romanelli
 

Bernanos a San Miniato
«Un evento umanistico e spirituale per un convito di piatti robusti». Don Marco Bongioanni, partecipando alla conferenza stampa di presentazione della quarantatreesima edizione della «Festa del Teatro» di San Miniato ha definito cosi l'attuale appuntamento al quale sovrintende per conto dell'Istituto del Dramma Popolare.
Nato nel '47, sulle macerie fisiche e spirituali dell'immediato dopoguerra, l'Istituto si pose da subito, come obbiettivo primario, quello di costituire e catalizzare energie ed idealità intese ad «un impegno costante e fedele per un teatro non evasivo, non effimero, ma attento alle inquietudini umane del nostro tempo. Un teatro — come lo ha definito Don Marco — di verità teatrale».
E davvero il cartellone di questi anni è lì a testimoniare la salda chiarezza di intenti che ha animato e sorretto questa prospettiva. Da una leggendaria messa in scena di Assassinio nella Cattedrale, di Eliot, diretto da Strehler nel '48, si passa a L'avventura di un povero cristiano, di Silone, allestito da Valerio Zurlini nel '69, e la Fiorenza di Thomas Mann, per l'adattamento scenico e la regia di Aldo Trionfo, nell'85, si ricordano altrettanto bene quanto il mitico Il Poverello, di Jacques Copeau, filmato da Orazio Costa nel 1950.
Ma accanto a questi è tutto un fiorire di Claudel, Greene, Milosz, De Ghelderode, Vallejo ovvero, per deliberata scelta, autori contemporanei, dalle cospicue tematiche, di forte sviluppo spiritualista. Cosmogonie che, se non strettamente legate al credo cristiano, sono comunque intrise delle convulsioni del nostro tempo, impegnate in una risposta alle domande che esso pone, e di concreta assunzione nelle «responsabilità».
In questo contesto, quello di George Bernanos è un nome che, per intima e implicata connessione, non poteva mancare all'appuntamento. Ecco quindi spuntare, nella cronologia sanminiatese, tre lavori che a decenni di distanza, rimandano alla robusta ma sofferta ideologia dell'autore francese. Abitata da un Dio che, in profonda pietà, «usa» l'uomo, tanto più se contaminato dal peccato e dalla meschinità, sperimentandolo in «laboratori» del dubbio e della macerazione interiore. Ma solo per testimoniare se stesso, e l'immensità della grazia divina che nutre l'universo.
Ecco la drammaturgia diretta dei Dialoghi delle Carmelitane, nel '52, per la regia di Orazio Costa, e i due adattamenti teatrali di Sotto il sole di Satana diretto da Quaglio nel '65, e ultimissimo questo L'impostura, firmato dalla regista francese Brigitte Jacques, una scrittura scenica che nasce dall'omonimo romanzo di Bernanos, pubblicato nel '27, a sua volta figlia di una scomposizione che produce, dallo stesso materiale d'origine, un secondo celebre romanzo, La gioia.
Una responsabilità altissima e rischiosa, quella assunta dalla Jaques, per la forte densità della scrittura di Bernanos che a nostro avviso, diversamente da quanto dichiarato, non consente fino in fondo una completa vestizione drammaturgica. Sembra troppo complessa, troppo dimostrativa, avvolta in lunga verbosità la parola del romanziere francese per consentire una compiuta trasposizione scenica. Tanto che, per sua stessa ammissione, la regista si è limitata ad una rispettosa traduzione delle scansioni della vicenda, che vede al centro la figura di un teologo, tormentato dai dubbi della fede, rivestiti per convenzione sociale, per impostura, appunto, di una supina adesione. Gli fanno eco le convenienze del piccolo mondo e della piccola fauna che lo circondano.
La versione che va in scena a San Miniato in questi giorni, e fino al 5 agosto, si giova della vivace traduzione italiana di Luigi Lunari, ed è il corrispettivo di quella andata in scena nella passata stagione, al Theatre de la Ville, di Parigi. Invariate le scene e costumi di Emmanuel Peduzzi, l'allestimento italiano non sembra aggiungere, malgrado i forti scatti di recitazione, un costante motivo d'attenzione. Roberto Herlitzka era un dubbioso Abate Cenabre, Antonio Pierfederici il vecchio maestro che cerca di redimere l'allievo, Mario Maranzana il barbone che porta su di sé, e suo malgrado, la speranza. Bravi tutti, e con grande impegno. Ma forse l'impresa è superiore ad ogni possibile forza.

ERMANNO ROMANELLI, Gazzetta del Mezzogiorno 4 agosto 1989




© 2002-2021 fondazione istituto dramma popolare di san miniato

| home | FESTA DEL TEATRO 2023 | chi siamo | dove siamo | informazioni e biglietti | scrivici | partner | sala stampa | trasparenza | sostieni | informativa privacy | informativa cookie |

 

Fondazione Istituto Dramma Popolare San Miniato
Piazza della Repubblica, 13 - 56028 San Miniato PI
P.I 01610040501

Home