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Presentazione di Monsignor Carlo Ciattini
 

2003 - Disegno di Dilvo Lotti

Follia della Croce, sapienza di Dio

Sono passati dieci anni dalla scoperta di Colombo quando il diciassettenne Las Casas si imbarca assieme al padre, mercante sivigliano,  per il suo primo viaggio verso le Antille.
L'incontro con gli indios,  con la loro condizione di schiavitù, interpella la sua vita fino a farlo decidere, dopo un tentativo di realizzare una "colonia ideale", a vestire l'abito domenicano.
Le sue energie fisiche ed intellettuali, saranno spese,  direi quasi bruciate, fino all'ultimo respiro, per la causa degli indios.
Li difende con vigore e determinazione, alza la sua voce, che  oggi possiamo dire profetica, e si offre, senza riserve, con un amore immenso verso Dio e una passione fortissima per l'uomo di cui  sono campioni i figli di Spagna.
Las Casas, uomo di dottrina e di azione, sa che ogni forma di violenza è incapace di raccontare Dio, di annunciare la Buona Novella, di far incontrare l'uomo con Gesù Cristo, l'uomo con l'uomo.
E' particolarmente vero quanto  Reinhold Schneider pone sulle labbra di fra Bartolomeo: "Ma gli occhi umani non riconoscono più l'oro, e quanto più ne ammassano, tanto meno sanno che cosa sia. Del resto, non sono capaci di guardare un albero così come Iddio lo ha creato… gli uomini non vedono quegli alberi, così come non vedono gli uccelli, che pure in ogni isola hanno il loro colore speciale, che tra le montagne si mandano di lontano richiami e risposte, limpide e chiare come un cànone. Colui che entra in quel mondo con la spada non lo vede, ed ha già perduto il mondo di Dio… Con le spade della loro prepotenza e con le zappe della loro cupidigia essi frantumano nell'uomo lo specchio in cui si riflette il volto di Dio…". E ancora: " Non è durante una guerra che noi possiamo conoscere i popoli, ma soltanto in pace; perché per la pace essi sono creati".
Las Casas è un profeta, e come ogni profeta sarà rifiutato, detestato, non ascoltato.
Anche  lui è accusato dai suoi, si dice che abbia diffamato i propri connazionali creando "la leggenda nera". 
L'uomo spesso si difende da Dio, dal suo Cristo, dagli amici di Lui che sono i santi. Un difendersi che si consuma nell'accusare. Tragedia antica che ripete, attraverso i secoli, quella domanda che, da quel venerdì santo, sembra trafiggere il cuore di ogni uomo di buona volontà:  "Ma che male ha fatto?".  Domanda a cui  il mondo non ha mai risposto, ma ha  solo sentenziato morte: "Sia crocifisso!" 
La denuncia della grave crisi e dei grandi mali che interpellano gli uomini di quel tempo, esortandoli a un serio esame di coscienza, è già una colpa.
Ma che cristiani sono quelli che sbarcano sulle rive del nuovo mondo?  Quale comunità cristiana li ha cresciuti?
E' un tempo quello in cui urge riformare la Chiesa, al vertice come in periferia. Assieme ai mille santi, che percorrono le vie del mondo annunciando il Cristo crocifisso e risorto con le parole e con le opere, ci sono situazioni che sfigurano il volto della Chiesa, disperdendo il popolo di Dio che sempre più spesso, ormai senza più guida, si rifugia nella superstizione ed è facile preda dei commedianti di turno.
Si pensi, al proposito, alla non residenza di alcuni vescovi, ad un clero in gran parte teologicamente sprovveduto e distratto dall' unum  necessarium,  ai diversi preti  che vivono in uno stato di concubinaggio.
Gli ottimi Padri, radunati a Trento per il Concilio, offriranno al gregge disperso quanto era necessario per un salutare rinnovamento della vita cristiana. Saranno, poi,  i figli e le figlie sante della Chiesa,  a offrirsi per ricondurre le pecore disperse sui sentieri di Dio.
Intanto i maggiori  ordini religiosi, dopo il declino del XIV secolo, ritornano a tenere vivo il genuino messaggio evangelico.
In questo contesto si colloca la figura di fra  Bartolomeo, domenicano, vescovo, avvocato degli indios e, speriamo presto di poter dire, santo.
L' opera di Reinhold Schneider ci porge un Las Casas che ritorna in Spagna per divenire coscienza di un popolo, di una storia, di un tempo che dice di voler essere di Cristo: "Noi non siamo qui radunati, almeno così penso, per trattare gli affari del mondo o le sorti degli stati… Noi siamo qui per intenderci circa la più semplice delle verità, come cioè il comandamento del nostro Signore e Redentore, che è morto per tutti gli uomini, debba venir obbedito, ed in qual modo noi, senza esagerare le conseguenze dei nostri atti né svalutare l'efficacia di Dio, dobbiamo operare per la diffusione del suo Regno".
Un Las Casas che ha un unico desiderio, un unico progetto, un'unica volontà, che "la voce di Dio giunga agli orecchi degli uomini immersi nell'ingiustizia".
Un Las Casas che fa  la sua bella, schietta, umile confessione: "E nell'ingiustizia viviamo tutti. Chi può affermare di non aver avuto aiuto ed appoggio dalle offerte degli empi? Il delitto penetra in tutte le vene, il nostro popolo ne vive, ed anche quando adorniamo gli altari del Signore o dei Santi lo facciamo con oro estorto dal ricatto, lordo di sangue, intriso di lacrime… Oh! fosse possibile dire sempre la verità… Oh, se non dovesse tacere proprio chi conosce le sofferenze più segrete! Sono così incredibilmente pochi quelli che vivono soltanto per rendere testimonianza, per dire ciò che è vero e in qual misura la vita degli uomini sia in contraddizione con la verità eterna!"
Un Las Casas che diviene testimone oculare del male e non può tacere, costi quel che costi, a qualunque prezzo deve denunciare: "Ho anche veduto… migliaia di bambini periti a Cuba in pochi anni perché alle madri non era concesso neppure il tempo di nutrirli: quelle infelici dovevano, col cuore impietrito, trar l'oro dalla terra pei loro nuovi padroni… vecchi gettati al pari di spazzatura fuor delle case perché inetti al lavoro; fanciulle i cui bellissimi corpi, creati per albergare un'anima santa, avevano dovuto servire le basse voglie di un delinquente spagnolo… donne che morivano premendo al seno inaridito una creatura gia spenta… altre affrante e troppo deboli per partorire… Vidi cani da guerra saziarsi divorando persone vive… Tutto questo ho veduto senza poter far altro che tracciare il segno della croce su mucchi di cadaveri… Ma questo è ancor nulla: ho sentito le maledizioni di quelli a cui avevo predicato il Vangelo dell'amore, ho dovuto assistere impotente moribondi che rifiutavano il sacramento per non dover andare nel paradiso degli spagnoli".
Un Las Casas che con quella lucidità che è dono che scende dall'alto, offre, in una mirabile sintesi, una risposta che è la risposta di Dio alle infinite domande dell'uomo. A quelle domande che sgorgano dal nostro povero cuore nei giorni tristi, quando ci circonda la malizia dei perversi, nei giorni del dolore e della morte, nei giorni della mediocrità, della falsità, dell'odio senza ragione: "Chi però affronta i demoni con la spada ne viene poi inavvertitamente invasato, e fa quel che non vorrebbe e vede ciò che quelli gli impongono di vedere. Solo con la croce noi possiamo affrontarli, e quando esigono da noi il martirio sono già quasi sconfitti."
Ed, infine, con una solennità che è quasi il suo testamento, affermerà: "Non importa già compenetrare della croce tutto il mondo; importa soltanto che noi durante questi sforzi siamo compenetrati da essa".
Ed è il mistero della croce che svela, illumina e dona intelligenza al cristiano, a colui che vuole essere di Cristo, per vivere la sua agonia quotidiana, il suo nascere giorno dopo giorno, quale esodo, passaggio, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dall'esilio alla patria, dall'egoismo all'offerta di sé, dalla solitudine alla comunione.
La croce, semplicemente la croce, è il tutto per la vittoria.
E' stato scritto di Las Casas: "La simpatia che provava per questo mondo nuovo, insolito, brulicante di creature che non aspettavano che la Buona Novella, in mezzo ai quali avrebbe tanto desiderato restare…era totale, incondizionata. Salvare questa umanità che vedeva diminuire rapidamente e in pericolo di estinguersi, salvarla recandole Cristo di cui essa era in virtù il corpo, salvarla anche dal punto di vista materiale preservando i valori della sua civiltà, ecco il compito a cui egli volle dedicarsi con tutto il proprio ardore, tutta la sua instancabile tenacia, ecco il ministero che era convinto di essere stato chiamato a svolgere nella storia ( Marianne Mahn-Lot  - Bartolomeo De Las Casas e i diritti degli Indiani  - Milano,1998 p.10).

Vogliamo sperare che il  ministero di fra Bartolomeo convinca molti nei nostri giorni a non aver paura, a non temere l'altro, il diverso, ma decidersi per incontrarlo, per sapere di lui. Ad andare all'altro con quella Humanitas  di cui  dicevano i latini, con quei gesti di umana tenerezza di cui ha bisogno, come diceva stupendamente il grande Shakespeare, ogni uomo. Solo così è possibile incontrare l'altro, guardarlo in tutta la sua bellezza, godere della sua ricchezza.  Ricchezza unica, irripetibile in quanto uomo, in quanto appartenente a un popolo.
Ma fare questo è faticoso! Non ci possiamo improvvisare. L'entusiasmo non basta, non bastano i discorsi, le parole. E' vita data e ricevuta, è vita come servizio. Aiutare i poveri rimanendo poveri o addirittura divenendo poveri. E' essere di costoro padri e madri con quella fatica a dare, accogliere, crescere e custodire la vita. Solo così l'umanità diverrà famiglia, senza padroni e servi , non più minacciata da sempre nuove forme di schiavitù, di cui, spesso, neanche se ne rendono conto coloro che ne sono vittime a motivo della raffinatezza dei camuffamenti. Ma per far questo potrà soccorrerci  solo quella realtà che l'Apostolo Paolo paragona alle doglie del parto: "Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli (Romani 8,22-23)"
Diversamente saremo dei conquistatores, al di là dei teatrini, delle carnevalate che mettono in scena i sedicenti  presenti alla storia.
Il nostro tempo reclama la verità dei gesti, una verità che può germogliare solamente dalla terra dove è stata piantata la croce: "L'albero del bene e del male è germogliato nella croce del Signore (Arnobio)" .

 




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