Questa storia è vera... accadde nell'anno mille
Negli anni scorsi, cercando documentazioni sull'Alto Medioevo, e soprattutto sul periodo intorno all'Anno Mille, in vista di un mio romanzo che ebbe poi un insperato e prolungato successo, L'Ordalia, m'imbattei in uno « scandalo » impressionante. Era avvenuto nell'abbazia di Farfa, per secoli uno dei fari di luce culturale e spirituale della Cristianità. Ma poi c'era stata una decadenza che è difficile immaginare. Quel luogo non era più un santuario, e nemmeno una sede di raccoglimento e di1 studio, ma un vero e proprio nido di criminalità, oltre che di corruzioni. Colpito da quella decadenza, il giovane Ugo aveva cercato di mettersi alla testa dell'abbazia per ridarle purezza e vigore, ma gli era stato chiesto, nientemeno che dal Papa (che pure in altre occasioni combattè la simonia), di pagare quella dignità di abate con danaro sonante. Insomma, il custode della virtù e della santità cristiana aveva chiesto lui stesso, a un'anima benintenzionata, di commettere un vero e proprio sacrilegio. Ugo — si può immaginare dopo quali lotte e angosce — aveva finito per accettare: pur di salvare gli altri, aveva scelto se mai di dannarsi lui stesso.
Anni dopo Farfa era tornata agli antichi splendori, anzi li aveva superati. Ormai tutto il mondo guardava di nuovo all'abbazia come a un esempio di vita illuminata dalla Grazia. Ma Ugo non si dette mai pace di quell'antico delitto, commesso insieme con un Papa ormai morto da decenni. Ancora da vecchio si accusava in ogni occasione di avere mancato, quella volta, credendo di giustificare, per un sia pur santissimo fine, un mezzo vergognoso.
Questa storia, come nel caso della storia che sta alla base dell'Ordalia, mi è parsa subito non limitata al suo tempo (che pur le dava un sapore e un fascino eccezionali, con quel tanto di barbarico e insieme di raffinato che è nella storia cristiana di quei secoli medievali), ma ho sentito che parlava agli uomini di tutti i tempi e in particolare a quelli del tempo nostro. Né soltanto in campo religioso. Quante volte, nell'attualità politica (si pensi solo al patteggiamento coi terroristi, alla polemica sull'aborto, a certe alleanze tra ideologie contrastanti, alla denuncia o meno di scandali del proprio stesso partito) si è rifatta viva, con forza lancinante, la problematica di quanto un fine, nobile finché si vuole, possa giustificare i mezzi più o meno ignobili che si vogliano mettere in atto per raggiungerlo. Solo che oggi, molto spesso, tali crisi di coscienza si superano presto, servi come siamo quasi tutti delle strategie del relativo. Allora, invece, convinti come quasi tutti erano di certi valori assoluti e del conto da renderne a Dio, un tale interrogativo prendeva i colori tremendi della tragedia, dove anche il peccatore acquistava una sorta di cupa grandezza.
E' anche per questo che il mio dramma non indulge al « colore sociale » inteso in senso storico, né gioca con le immagini e le farse pittoresche. I personaggi parlano nudo, spesso con una ruvidezza lapidaria, perché vanno al nocciolo della questione. Ed è proprio tale nocciolo che li apparenta a noi. I contorni possono essere cambiati, ma la sostanza morale di certe decisioni e di certe scelte rimane nei secoli la stessa.
Italo Alighiero Chiusano
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