La Polonia e Moro nel «Giobbe» di Wojtyla
Sotto il ciclo fresco di San Miniato, per la trentanovesima Festa del Teatro promossa dall'Istituto del dramma popolare, è stato presentato ieri sera in « anteprima » mondiale — ma sarebbe forse più in carattere dire « urbi et orbi » — il dramma di un giovane autore d'eccezione, un diciannovenne di quarantacinque anni fa chiamato Karol Wojtyla, ancora ben lontano dall'immaginare il proprio destino come papa Giovanni Paolo II. E' il secondo testo del Papa che viene allestito in Italia: ma a differenza del precedente, La bottega dell'orefice, questo Giobbe non è stato realizzato in forma di oratorio, di semplice lettura poetica.
UNA STRADINA PER PALCOSCENICO
Da quanto si è visto l'altra sera nella prova generale, qui ci troviamo di fronte a un vasto e complesso evento spettacolare. Se infatti il compito di mettere in scena il dramma è stato affidato a una profonda conoscritrice dell'opera di Wojtyla, la polacca Aleksandra Kurkzab, già allieva di quel teatro rapsodico di Cracovia in cui negli anni giovanili aveva militato anche il Papa, traduttrice con Margherita Guidarci di tutti i testi poetici e teatrali di Giovanni Paolo II, per la supervisione è stato chiamato un cineasta di fama mondiale. Krzystof Zanussi, autore fra l'altro di un film sulla vita del suo illustre conterraneo, il celebre Da un paese lontano.
L'impronta cinematografica che Zanussi ha imposto allo spettacolo, da quanto si è visto nella prova dell'altra sera, è evidente fin dalla scelta del luogo della rappresentazione, una stradina lunga alcune centinaia di metri che si inerpica e sprofonda costeggiando la conca di Piazza della Repubblica, a ridosso di una serie di edifici i cui androni e botteghe offrono un'insolita scenografia architettonica. In questo spazio tutto orizzontale, col pubblico che si è defilato, Zanussi ha fatto correre auto e motociclette, ha voluto che il suo operatore Slavomir Idziak impostasse delle luci più da « set » che da ribalta, ha costruito l'azione quasi come una successione di inquadrature, con un'incredibile serie di « effetti speciali ».
NUVOLONI DI FUMO E VALANGA D'ACQUA
L'annuncio dei disastri che colpiscono Giobbe è dunque accompagnato di volta ih volta da sinistri nuvoloni di fumo che sibilano oltre il pertugio di un vicolo, da esplosioni di bengala in cima egli edifici circostanti, da una immane cascata d'acqua che si riversa da una scalinata come un'inquietante allusione alla catastrofe della Val di Fiemme (e forse sui gradini verrà sistemato anche un minuscolo villaggio). Quando il fuoco distrugge la casa di Giobbe fiamme vere, alte e aggressive, corrodono le porte di legno. E nel bel mezzo dello spettacolo, evocata dal lamento del protagonista, un'agghiacciante pantomima richiama l'uccisione di Aldo Moro nel bagagliaio dell'auto rossa tristemente tramandata dalla cronaca e le sevizie e l'assassinio di padre Popielusko.
« Il nostro problema principale — spiega Zanussi, come sempre molto disponibile — era quello di sostenere teatralmente l'impianto verbale del testo, ecco perché il ricorso alle pantomime e a un po' di " son et lumière ". Indubbiamente la chiave è quasi cinematografica, e infatti scherzando lo definiamo uno spettacolo in cinemascope. Tutto ciò era necessario per affrontare un dramma ispirato allo stile romantico che domina nella tradizione polacca, scritto da uno studente di letteratura per essere letto più che per essere recitato, irrappresentabile come il Faust di Goethe. L'autore stesso non aveva previsto la svalutazione della parola nel mondo moderno, di cui oggi è ben consapevole ».
— Non c'è il rischio che questa impostazione registica sancisca la definitiva vittoria del cinema nei confronti del teatro, proprio sul suo terreno?
« L'importante è che sia spettacolo, comunque lo vogliamo chiamare. Certo succede qualcosa che non è tradizionale teatro di sala, ma che è vivo sotto i nostri occhi, e questo basta perché la specificità del cinema è di essere riproducibile, mentre il segno del teatro è nella sua unicità. E noi abbiamo voluto creare un fatto unico, intrasportabile, totalmente legato al luogo in cui si svolge. Chi non lo vede qui non lo vedrà mai, anche se ci saranno le riprese televisive che però non sono la stessa cosa ».
— Quale aspetto del testo l'ha più attratta?
« Il mio primo sentimento è stato di solidarietà verso un connazionale, soprattutto ora che voci critiche si alzano più di prima. C'è come un obbligo morale per un'esperienza che io condivido, perché ho vissuto nella stessa società, nella stessa cultura, e le nostre difficoltà verso il mondo occidentale d'oggi ne sono un risultato. Se questo papa è accusato di essere troppo rigorista, io so che il rigore ha un altro significato in un mondo che ha vissuto momenti critici. Quando sento degli amici che accusano Wojtyla, mi pare di essere accusato personalmente ».
— Lei è stato il biografo cinematografico del Papa; cosa si trova del futuro Giovanni Paolo II in questo pezzo giovanile?
« C'è qualcosa che mi sembra permanente nella sua opera, la riflessione sull'ingiustizia del destino umano, sulla sofferenza non meritata. Una riflessione fatta da un giovane che però aveva già vissuto l'umiliazione di una nazione, un'esperienza molto lontana da quella dei Paesi del benessere. Noi abbiamo vissuto tragedie collettive, e il dramma racconta in primo luogo di un'intera nazione che si sente Giobbe, distrutta, vinta da un potere cattivo. Voi non potete figurarvi l'Europa senza l'Italia, noi dobbiamo vivere l'Europa senza la Polonia, e non per nostra colpa. Forse per questo sentiamo l'archetipo di Giobbe più di altri, forse quanto gli stessi ebrei ».
— Signora Kurkzab, se questo testo poco teatrale, scritto da un autore ventenne, non fosse stato opera del futuro Papa, per lei avrebbe avuto senso rappresentarlo?
« Per quanto mi riguarda ho desiderato rappresentarlo da quando l'ho tradotto, nel '78, con Margherita Guidacci che grazie alla sua profonda esperienza poetica e religiosa è riuscita a tirarne fuori un'autentica carica spirituale. L'unica cosa che non immaginavo era che un testo così basato sulla parola potesse trasformarsi in uno spettacolo non solo di parola ».
— Lei, probabilmente per la prima volta, ha rappresentato direttamente in teatro avvenimenti come il delitto Moro e l'uccisione di padre Popielusko.
« Come straniera avevo forse più coraggio di toccare certi argomenti di quanto non ne abbiano tanti in Italia. Ma io da tempo volevo affrontare determinati fatti di attualità, volevo parlare di Giobbe per parlare anche di noi ».
- Ha avuto contatti con l'autore?
« Li ho avuti con sacerdoti che gli sono vicino. All'inizio esitavo, poi vedendo che la cosa prendeva importanza ho telefonato perché l'autore fosse avvertito di quanto succedeva, e per esprimere il mio rammarico che lui non potesse assistere. In genere casi come questo lo imbarazzano, ma stavolta mi ha fatto sapere che era informato, che non aveva più molto in mente la sua opera giovanile ma ricordava di averla scritta con grande ardore, perché sentiva di esprimere lo stato d'animo di migliaia di polacchi. Mi ha anche fatto comunicare che gli sarebbe piaciuto vederlo. Ma non si può certo invitarlo qua ».
PRESENTE NEL TESTO L'ANTICO TESTAMENTO
— Ugo Pagliai interpreta il ruolo del protagonista, Giobbe. Ha incontrato particolari difficoltà?
« Nel testo si sente la presenza dell'Antico Testamento, e questo consente di fare un Giobbe fuori dagli schemi melodrammatici, con molta rabbia. Non è un linguaggio teatrale, ma mi sembra che la traduzione abbia funzionato, e se in alcuni punti si fa fatica a esprimere un concetto di parole, in altri è tutto abbastanza chiaro. Ho accettato questa prova volentieri perché non avevo mai recitato a San Miniato, e perché mi interessava vedere questo testo in mano a un fisico, a uno scienziato come Zanussi. E' un momento in cui mi piace lavorare con persone che mi insegnino qualche cosa ».
A Paola Gassman, che interpreta la parte del profeta Eliu, chiediamo infine se non susciti un po' di timidezza interpretare l'opera di un simile autore.
« Certo all'inizio ci faceva uno strano effetto dire che avremmo recitato un testo del Papa, poi lavorandoci tutto è diventato più normale. Si pensa soprattutto a un autore molto giovane, più che al suo ruolo attuale ».
Renato Palazzi Corriere della Sera, Milano, 26 Luglio 1985
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