Più interessante di Pirandello
Santa Cruz, California, estate 1989. Presso una Università minore si sta concludendo un seminario di politica internazionale, tema la funzione del mediatore esterno in un grave conflitto etnico. I partecipanti, di varie nazionalità, sono tra i trenta e i quarant'anni. Pochi anni dopo si ritroveranno in circostanze mutate, alcuni avendo assunto funzioni ufficiali, in margine a un contrasto esploso in seguito alla caduta del'impero sovietico, da una ex repubblica del quale, la Caucasia, si vuole a sua volta emancipare una enclave a maggioranza islamica ivi contenuta, chiamata Drozdania. In una serie di episodi che arrivano al giorno d'oggi, Il dilemma del prigioniero segue l'evoluzione dello scotro tra questi due popoli attraverso tentativi di conciliazione operati appunto da alcuni membri di quell'antico seminario e principalmente dalla finlandese Gina Olsson. Questa a un certo punto arriva a un passo dal convincere le due parti a un accordo, durante una riunione segreta a casa sua, ossia in territorio neutrale, ma all'ultimo momento un cavillo manda tutto a carte quarantotto.
Naturalmente Caucasia e Drozdania non esistono, sono state inventate dall'inglese David Edgar insieme con le lingue parlate dai loro abitanti: ma proprio come queste suonano assai convincenti al nostro orecchio, la determinazione di entrambe le parti in causa a far naufragare qualsiasi tentativo di metterle d'accordo pur di poter continuare a massacrarsi in un crescendo di crudeltà aderisce perfettamente a tante situazioni che la storia contemporanea continua a proporre; né sorprende il finale in cui ai contendenti viene imposta dall'alto una parvenza di pax americana i cui dettagli sono determinati solo dal lucro. Nella tradizione del miglior giornalismo britannico, gli argomenti sono esposti con vivacità, attraverso scambi brillanti tra personaggi che pur concedendo poco alla retorica sono pronti alla metamorfosi, quando la situazione sembra richiederlo, vedi l'intelligente, informato Shubkin che agli inizi sembra un intellettuale aperto all'emancipazione ideologica ma che poi riappare come spietato militare, responsabile di eccidi.
Al solito, nessuno ha del tutto ragione, così come nessuno ha veramente torto: ma anche se la Olsson dimostra ineccepibilmente che non ammazzarsi è meglio, e che per ottenerlo bisogna che ciascuno conceda qualcosa, al dunque i lati peggiori dell'animale uomo finiscono sempre per prevalere. Didascalico quanto si vuole, ma plausibile e, come dicevo, sorretto da un dialogo vivace, il testo si avvale a San Miniato di una esecuzione diretta da Maurizio Panici con chiarezza e velocità in più luoghi di una scenografia di Daniele Spina efficacemente movimentata da fondali digitali e filmati di Carlo Fiorini e Daniele Spisa. Adeguati i quindici attori, con spicco per Maria Paiato come l'irriducibile ma non fanatica Olsson; tra gli altri, Bruno Armando, Andrea Buscemi, Renato Campese, Silvia Budri. Pubblico perplesso ma poi partecipe; dietro a me qualcuno diceva, «più interessante del solito Pirandello», e non gli do torto. Due ore e un quarto, si replica fino al 28.
Masolino D'Amico, La Stampa - 25 luglio 2004
|