Con «Il prigioniero» di Edgar l'incubo di una realtà di guerra
Scenografia «avvolgente» e sofisticata; musiche efficaci che scandiscono «cinematograficamente» l'azione, ma soprattutto una recitazione impeccabile, forte di una regia «minimalista» che rende ancor più intensa la drammaticità del testo. Basterebbe questo per descrivere più che positivamente Il dilemma del prigioniero presentato dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato alla 58esima edizione della Festa del Teatro, ma non basterebbe a dare la sensazione dell'incanto che questo testo così crudo e a tratti indisponente ha saputo creare tra il pubblico. Il testo è di David Edgar, una delle voci più prestigiose del teatro politico britannico, restituito nella sua essenza più profonda da Sara Soncini. Da un'aula dell'università di California dove studenti che partecipano ad un seminario sulla gestione dei conflitti sono impegnati ad una simulazione di un negoziato di pace, la vicenda precipita nella cruda realtà dove, solo pochi anni dopo, questi ragazzi ormai uomini si troveranno a confrontarsi con una realtà che si presenta ben più drammatica e disincantata. Lo scontro tra la Caucasia, ex repubblica sovietica e la Drozdania, enclave a maggioranza islamica che reclama l'indipendenza ricorrendo anche al terrorismo, «interessa» l'America e l'Onu che si muovono attraverso una rete diplomatica per cercare una mediazione possibile. Al centro di tutta questa complessa vicenda c'è una frase ricorrente che si snoda nel tempo e nei fatti, «quando voi dite... io sento che in realtà voi pensate»: in modi diversi e con diverse risultanze, la pronunciano tutti i personaggi principali. I giovani studenti prima, con ironia e un pizzico di incoscienza, gli adulti poi con amara consapevolezza di «non fidarsi» delle parole. E quelle parole che si sprecheranno sui tavoli ufficiali e non di una trattativa di pace che nessuno davvero vuole, o meglio che ognuno vorrebbe secondo un proprio disegno che raramente passa dai reali interessi delle popolazioni, si tramuteranno in morte, distruzione, rappresaglie, tradimenti mostrando senza paraventi il tremendo peso che possono avere quando usate impropriamente o strumentalmente. È una storia corale di popoli e di potenze mondiali ma è al contempo storia di singole individualità che si incontrano e si incrociano in mezzo a questi fatti divenendone protagonisti e vittime. Ottimi i contributi filmati, parte di questo «gioco a scacchi», dove i «pezzi» mossi sono di volta in volta capi di stato, delegati internazionali, rappresentanti di organizzazioni non governative e pacifiste, ribelli e terroristi, ma dove la posta della partita non è chiara e il gioco si modifica man mano che i fatti superano i programmi. Un nuovo successo per la Fondazione che fin dal 1947 porta all'attenzione del pubblico un teatro che non è solo spettacolo ma riflessione sulle inquietudini dei nostri tempi.
STEFANO MECENATE, Il Giornale della Toscana, 29 luglio 2004
|