Questo sito utilizza cookie tecnici, di profilazione propri e di terze parti. Se continui la navigazione, se accedi ad un qualunque elemento di questa pagina (tramite click o scroll), se chiudi questo banner acconsenti all'uso dei cookie.
Chiudi ed Accetta Voglio saperne di più
 

ARCHIVIO DI TUTTE LE EDIZIONI:

cerca all'interno del sito:

SEGUICI SU:


facebook youtube email



Ministero

Regione Toscana

ARCHIVIO
 
La recensione di Paolo Lucchesini
 

La coscienza di Teilliard
Tre anni fa a Firenze, promotrice l'associazione intitolata al suo nome, si tenne una giornata per ricordare la figura e l'opera di Pierre Theilhard de Chardin. L'occasione fu porta dalla ricorrenza del centenario della nascita (1881). Fu un momento fondamentale per approfondire, anche criticamente, la conoscenza di un cattolico scomodo, uomo dalle molte definizioni, scienziato — quindi fedele alle regole della ricerca: come paleontologo preferiva agire « sul campo », piuttosto che in laboratorio — ma anche religioso, che sentiva l'invincibile esigenza spiritualistica di realizzare una sintesi straordinaria fra materia e divinità. Evoluzionista convinto, accusato, sommessamente di panteismo, « esiliato » negli Stati Uniti, Teilhard aveva turbato con le sue teorie le gerarchle ecclesiastiche. Ricordiamo nel 1934 scriveva:  « Se in seguito a qualche crisi
intcriore dovessi perdere la mia fede in Cristo, la fede in un Dio personale, la stessa fede nello Spirito, io continuerei a credere nel Mondo ». Professione laica, scandalosa, almeno allora.
Personaggio, quindi, singolare e irregolare, diciamo perfino romanzesco, un Don Chisciotte lo ha definito Carlo Bo, capace anche oggi di suscitare non poche curiosità.
E San Miniato non poteva, in un momento di delicato aperturismo a temi che non siano soltanto sacri, non dedicare la trentottesima Festa del Teatro a Teilhard de Gbardin. Il testo scelto e messo in scena Oltre le trincee, è opera di Fabio Storelli, che ha collocato il dramma in un periodo preciso della vita di Teilhard, i trentatré mesi trascorsi come cappellano sul fronte di Verdun, durante la grande guerra. Davanti a un paesaggio di morte, un deserto di umanità « confine estremo di un mondo conosciuto » Pierre legge La tentazione di Sant'Antonio di Flaubert, libro proibito, che apre davanti a lui un altro deserto, l'inutile via di fuga dell'eremita per allontanare le seduzioni del mondo. Assenza di umanità, quindi, in tutte e due le dimensioni, quella reale della guerra e l'altra visionaria del romanzo di Flaubert. Pierre leggendo diventa Antonio e si sottopone ai tormenti dell'animo e delia fede, nella disperata speranza di razionalizzare le mostruosità materiali che ha davanti — o eretiche e sensuali che immagina, solleticato dall'istrione tentatore Ilario-Le Normand — di giustificare in una logica ottimistica divina riducendole ad una « crisi di crescenza », oltre la quale s'ntravede una  « nuova   umanità ».
Questo, in sintesi, l'assunto filosofia) del testo di Storelli, testo che ha un suo rigore e che offre — in virtù dei brani selezionati ed elaborati — un Theilhard più poeta che teologo, più profeta che scienziato, ma che ha assai poco di teatrale, ennesimo esempio di quanto la drammaturgia italiana annaspi disperatamente alla ricerca di formule espressive avendo dimenticato le regole elementari di scrittura, le tecniche fondamentali del procedere drammatico comuni alla tragedia greca e alla commedia  di  Broadway.
Oltre le trincee è un lungo oratorio dignitoso, accorato, ma letterario, verboso, in parte ripetitivo, che se riesce a manifestare il pensiero di Teilhard, contribuisce ben poco a dimensionare il personaggio.
Teilhard non ci appare come uomo fra gli uomini, con un comportamento che denuncia la propria ideologia, ma un semplice portavoce di se stesso. Forse sarebbe stata necessaria una maggiore attenzione alla vita del « gesuita proibito », sfiorata soltanto nei ricordi d'infanzia —  momenti più felici dello spettacolo, insieme con M dialogo a distanza con la cugina Margherita — e non solo ai suoi libri.
Dal testo di Storelli, il regista Alessandro Giupponi ha ricavato tutto quanto di teatrabile era possibile tentare. In primo luogo, con Beppi Improta, ha realizzato una scenografia per luoghi deputati (astratte piattaforme trasparenti) legati fra loro dai segni di guerra delle trincee (sacchi di sabbia, armi, cassette di munizioni, reticolati, rovine) in un angolo il salottino di Margherita. Giupponi, in questo contesto, ha potuto da una parte muovere con misura le azioni di battaglia affidate a molte comparse e, verosimilmente dall'altra materializzare le allucinazioni di Pierre-Antonio, sia con apparizioni oniriche, sia con l'intrusione di una carretta di comici. Insomma ha fatto tutto ciò che poteva, cercando di dare unità e movimento.
Fra gli interpreti meritano una menzione particolare Carlo Hintermann e Virginio Gazzolo, il primo impegnato nel massacrante sproloquiare di Pierre-Antonio, condotto con fermezza, lirismo e professionalità, il secondo per la lucida, intelligente, tagliente ed anche ironica interpretazione del doppio Ilario-Le Normand, un tipo di lettura, che, forse, avrebbe potuto improntare tutto lo spettacolo. Mattine Brochard è stata una delicata, inconsapevole Margherita; Virginio Zernits, un capitano Bouohard burbero e agnostico, e inoltre un gruppo di giovani agguerriti in ruoli più disparati. Pregevole la colonna sonora continua di Giancarlo Chiaramello.
Accoglienze calorose al finale; repliche.
Paolo Lucchesini La Nazione, Firenze,  19 Luglio  1984




© 2002-2021 fondazione istituto dramma popolare di san miniato

| home | FESTA DEL TEATRO 2023 | chi siamo | dove siamo | informazioni e biglietti | scrivici | partner | sala stampa | trasparenza | sostieni | informativa privacy | informativa cookie |

 

Fondazione Istituto Dramma Popolare San Miniato
Piazza della Repubblica, 13 - 56028 San Miniato PI
P.I 01610040501

Home