Il sacrificio per vincere odio e rancore
Una croce, una processione, un crocifisso e un altro ancora... Sul grande palcoscenico all'aperto, nella suggestiva piazza del Duomo di San Miniato, protagonista assoluto è il Cristo. Ora lo si ritrova negli oggetti che riempiono le scene, ora è presenza invisibile e muta, ma reale e determinante. Il Cristo proibito di Curzio Malaparte è stato scelto per la prima assoluta dall'Istituto del dramma popolare in occasione della quarantottesima Festa del teatro, dal 15 al 20 luglio. L'opera ha faticato per trovare il proprio genere, scritta alla fine del '40 come romanzo, fu in seguito adattata a soggetto cinematografico e girata dallo stesso autore nel '50: il film divise la critica e suscitò molte polemiche anche se riuscì a vincere il primo premio al festival di Berlino.
La riduzione teatrale per l'annuale festa di San Miniato è stata realizzata da Ugo Chiti e dal regista dello spettacolo Massimo Luconi, con la compagnia dell'«Arca Azzurra». Fa da sfondo la corale mons. Balducci diretta da Alessandro Bartolozzi. In una comunità dispersa dalla guerra e dalla fame, un paese forse sulle pendici del Monte Amiata, Curzio Malaparte immagina il suo Cristo proibito. La vicenda si avvolge, con la lenta determinazione di una pianta rampicante, intorno ad un episodio: finita la guerra, Andrea e Bruno, soldati italiani tornano al paese dopo dieci anni di prigionia trascorsi sul fronte russo.
Sul palcoscenico sotto le stelle, i due personaggi si muovono lentamente, le parole escono a scatti dalle loro bocche come se esprimessero pensieri offuscati, abbagliati per aver visto tanto male. Bruno ha un'idea fissa in mente: vuole vendicare a tutti i costi il fratello partigiano ucciso dai tedeschi in seguito alla denuncia di un traditore e la vendetta diviene per lui un'ossessione, l'unico motivo di vita.
Vuol sapere a tutti i costi il nome del traditore per ucciderlo. La gente sa, ma è stanca di spargimenti di sangue, nessuno parlerà. Quando Bruno sembra ormai essere lasciato solo a se stesso, gli viene in aiuto l'innocente Padre Antonio, un falegname che offrendosi come colpevole si lascia uccidere come un nuovo Cristo: quel Cristo che nella società moderna, così ottenebrata dai propri egoismi, è per l'appunto proibito.
Facendo riflettere per la sua tematica di scottante attualità, Il Cristo proibito ripropone la problematica del sacrificio di Cristo, un sacrificio che libera tutti dalle proprie colpe e che rappresenta l'unica speranza di salvezza di un 'umanità devastata dall'odio e dalla vendetta.
La riduzione teatrale appare scarna, essenziale, pur conservando il tono ed il timbro del testo originale che è insieme di tragedia antica e di sacra rappresentazione. La regia di Luconi, grande conoscitore di Malaparte, propone un'atmosfera da sogno, dove gli attori si muovono misuratamente su un palco che si trasforma a vista.
La luce rigorosamente bianca che sfrutta tutte le gradazioni, dal bagliore al buio, vuol creare atmosfere diverse dalla più intima e familiare degli interni alla più gelida e disarmante della psicologia di Bruno, personaggio che a momenti viene letteralmente abba gliato, risultando più simile ad une spettro che ad un uomo. Affiancati da Claudio Bigagli nella parte di Bruno Lucilla Morlacchi, la madre, Massimo de Francovich nella parte di Padre Antonio, gli attori della compagnia toscana «L'arca azzurra» hanno mostrato un'opera rielaborata e personalizzata nella drammaturgia che, superando la forma naturalistica da dramma popolare, ha proposto al pubblico un testo arricchito di intensità simbolica.
Toscana Oggi 24 luglio 1994
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