Per raccontare la guerra il negoziato diventa pièce
Guerra civile, fronte popolare, terrorismo, cittadini presi in ostaggio, negoziati segreti, mediazioni internazionali, fallimenti, crimini, e poi tavoli della pace snaturati da interessi economici. A sorpresa, dopo tanto anacronistico teatro devozionale, è su questi temi difficili e tangibili che fa leva lo spettacolo odierno dell'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato, Il dilemma del prigioniero, testo che l'autore inglese David Edgar, ideatore di molti scenari politici, ha scritto nel 2001 a conclusione di una trilogia sul nuovo ordine europeo. Così come Copenaghen di Frayn analizzava superbamente un incontro storico-scientifico dell'ultima guerra, qui c'è uno studio comparato e molto ben drammatizzato che prima simula e poi osserva da vicino (con procedure da backstage) le infinite fasi di un negoziato dei nostri giorni tra etnie diverse, ovvero tra rappresentanti dell'ex repubblica sovietica della Caucasiae dell'enclave islamico della Drozdania. Dopo un cinico breafing californiano sulle pratiche diplomatiche, in terra neutra finlandese (e poi a Ginevra, e su una portaerei Usa) si sviluppano i tortuosi colloqui fra controparti divise da morti, linguaggi autoctoni, rivendicazioni territoriali. Una trama dolorosa e capziosa che il regista Maurizio Panici traduce a dovere in schermaglie dure, e in filmati colmi di senso. Lo assecondano, misurando ogni parola, Bruno Armando, Silvia Budri, Andrea Buscemi, Renato Campese e Maria Palato umana mediatrice.
Rodofo Di Gianmarco, La Repubblica - 26 luglio 2004
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