Miracolo, Graham Greene «converte» Bolchi
Sandro Bolchi che si era dichiarato più volte contrario ai luoghi teatrali aperti, ha messo in scena nella piazza davanti al duomo di San Miniato al Tedesco Il capanno degli attrezzi di Graham Greene e, una volta operata la trasgressione alle sue convinzioni, l'ha seguita sino in fondo, se ne è innamorato, trasferendola addirittura nella «lettura» del testo greeniano. La conseguenza di tutto questo è stato un lento, dialogato allargarsi del mistero contenuto inizialmente nel dramma interpretato da Carlo Simoni, Regina Bianchi e Mario Maranzana: come se Bolchi intendesse spostare sul piano secondario il fatto intricato in partenza e gradatamente sciolto con sistemi da investigatore privato e volesse richiamare alla ribalta quello che, in fondo, è il grumo autentico della letteratura di Greene, la presenza del miracolo nella vita quotidiana, la vicinanza di un Dio che è, naturalmente, invisibile, ma è presente dappertutto, nelle bottiglie di whisky dell'ex prete Williams, nell'amnesia atea e polemica di James, negli angoli del capanno degli attrezzi che figura come una moderna tomba di Lazzaro quando il miracolo avviene. «Miracle play», ha detto Bolchi quando ha scelto quest'opera per ritornare al teatro dopo dieci anni di lontananza: e continua a ripeterlo in queste giornate sanminiatesi, convinto di avervi scoperto la formula giusta che dette celebrità e sostanza al Teatro popolare: la formula, cioè, del travaglio delle anime finalmente acquietate dalla sottile folgorazione della Grazia. Si potrà obbiettare che una operazione del genere era facile fino dalla partenza, per il fatto stesso che la commissione di lettura e Bolchi avevano scelto un'opera più che trentennale e, perciò, coetanea agli inizi del fenomeno teatrale sanminiatese: ma l'obbiezione cade subito quando ci si mette a scrutare Greene dal punto di osservazione di Bolchi che non è affatto legato agli anni Cinquanta, ma, piuttosto, finemente attuale.
Una storia di miracolo, appunto, con al centro l'elemento che scatena il miracolo e che è, oltre che il nodo che poliziescamente si scioglie nel capanno degli attrezzi, un ribaltamento dell'antico motivo faustiano: una vendita dell'anima a Dio, non al Diavolo, perché, a prezzo della rovina di chi vende, si salvi la vita di un innocente. E, subito dopo, l'amnesia dell'innocente, il suo sonno di Lazzaro, per dare fuoco alla miccia che farà esplodere la verità. Ma senza drammi, dicevamo, con una specie di garbo di fatti e di parole.
L'azione che Greene racconta è questa. E' morto un vecchio ateo scientista e la famiglia, raccolta intorno al cadavere, viene a sapere che trent'anni prima, James, 14 anni, figlio del defunto, sconvolto dalla lotta fra il materialismo del padre e il misticismo del fratello di costui, il prete Williams Callifer, si impiccò nel capanno degli attrezzi e, salvato a stento, rimase con un vuoto nella memoria e con una dissacrante indifferenza nell'anima. Durante i trent'anni, lo zio prete ha lasciato il magistero, misteriosamente ha voltato le spalle alle sue rigide convinzioni, è diventato bevitore di whisky. Il mistero è risolto dalla giovane Anna Callifer che fa confessare al prete che, quando trovò James in coma, ancora appeso alla fune, regalò a Dio la sua fede in cambio della vita del giovane.
LUIGI TESTAFERRATA, Il Giornale 19 luglio 1987
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