Il fantasma di Ofelia danza sulle punte della Fracci
E' un dopo Amleto dove, in un clima allegorico denso e tagliente, visionario e reale come un'incisione di Dürer, il sacro incontra il profano, il tragico il comico e la vita la morte. È il Cavaliere di ventura di Roberto Cavosi, uno dei drammaturghi più interessanti della nuova generazione. Ancora una volta il colto e instancabile direttore organizzativo della festa del teatro di S. Miniato, Giulio Paternieri, ha «scoperto» un dramma, mai rappresentato, ricco di significati, e lo ha affidato a un'ottima compagnia rischiarata dalla presenza magnetica di Carla Fracci, qui anche straordinaria attrice. In questa favola fuori dal tempo, a tratti oscura, dove tutti i personaggi parlano un linguaggio aulico e medievaleggiante, lei è lo spirito di Ofelia che disperato evoca nella danza, leggera e impalpabile come un desiderio, tagliente e disperata come un tormento, la sua storia d'amore e di rifiuto nel giorno della sua sepoltura. Ed è qui che giunge Fortebraccio, il bravo e intenso Virginio Gazzolo, non più valoroso e deciso guerriero, ma eroe umanizzato da paure e incertezze, che racconta del suo incredibile incontro con due esseri litigiosi: la Morte (l'ottima Angela Cardile) e il Diavolo (il volitivo e seducente Maximilian Nisi). Narra del dialogo con la Fontana (Paola Roscioli), che raccoglie le lacrime del mondo per meglio raccontarne le malinconie. Il dubbio spalancherà in Fortebraccio le porte della pietà, e saprà cogliere la Rosa d'Amore in cui è rinata la triste Ofelia per permetterle di vedere, ancora una volta, il viso del suo amato Amleto (Riccardo Massimi), morto nel suo freddo castello e che danzerà con lei un ultimo disperato passo a due. Ma quando l'enigmatico Agrimensore (Cesare Lanzoni) porterà questa triste notizia, per Fortebraccio tornerà l'epoca delle certezze e non esiterà a prendere il posto di Amleto per governare un regno senza più re. Ma sarà un uomo cambiato, un uomo che ha conosciuto l'inferno del pensiero e la dolcezza della pietà.
Eccellente la regia di Beppe Menegatti, che accentua con raffinata eleganza il clima onirico-allegorico del testo, guidando gli attori lungo impervi e metaforici sentieri. Incisive e magnetiche le coreografie di Luc Boy sulle splendide musiche di Dmitrij Sostakovic. Uno spettacolo affascinante e trasognato.
Magda Poli, Il Corriere della Sera, 3 agosto 1999
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