Fracci, talento senza confini: conquista anche come attrice
Molti si ricordano Carla Frateci attrice come Giuseppina Strepponi nel Verdi televisivo di Castellani. Ma in palcoscenico aveva recitato solo in modo occasionale, e mai con una parte «vera» in uno spettacolo come in questo Cavaliere di ventura, in piazza del Duomo di San Miniato fino a mercoledì sera per la cinquantatreesima Festa del Teatro. La Fracci unisce, così, già in se stessa, nella sua persona di interprete, le due componenti della messa in scena di Beppe Menegatti, quella di teatro e quella di danza. In effetti, già autore di questa fiaba poetico-simbolica con venature da «moralità» e da allegoria medievale, il giovane Roberto Cavosi (Rosanero, Luna di miele) ipotizzava nel testo che uno potesse essere interpretato da una ballerina, altri da cantanti, mimi oppure burattini «ad altezza d'uomo». Nella scenografia di Luigi Del Fante, che ricorda il palco, il carro, di una compagnia di attori girovaghi, Menegatti ha creato un allestimento che riesce — cosa non facile — a non fare sembrare forzati o posticci gli inserimenti della parti danzate, dove la Fracci si esibisce anche in duetto con Riccardo Massimi, che è il Principe del Dubbio, Amleto. Perché il Cavaliere di ventura è l'ennesima, autonoma reinvenzione a partire dall' Amleto: il «cavaliere» del titolo è Fortebraccio, il re di Norvegia, arrivato alla reggia del Principe nel momento del compiersi della tragedia. Non spinto, però, da furia guerresca ma sulla scia di un tormentato errare spirituale e interiore. Un personaggio a cui Virginio Gazzolo — impeccabile — da un aspetto fisico antieroico, e un che quasi di decadente. La Fracci è il Ricordo, la Giovane, la Rosa, di volta in volta gli stati e le risurrezioni di un'Ofelia che soffre, ama e rinasce anche oltre il momento della morte. Il testo di Cavosi, disuguale, che ondeggia tra Beckett e Kafka e il latino dei Carmina Burana, ha squarci di improvviso lirismo capaci di condurre alla commozione. E anche la Fracci, come attrice, fa benissimo la sua parte. Tra gli altri — tutti bravi — c'è Max Nisi nella parte ingrata del Diavolo in giubbotto «chiodo» di pelle.
Francesco Tei, La Nazione 25 luglio 1999
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