La recensione
Sei personaggi in cerca di Dio
È dall'ormai lontano 1947 che San Miniato accoglie, nel quadro della sua estiva «Festa del Teatro», spettacoli di ispirazione religiosa. E del 1947 è pure la «prima» italiana (al Piccolo di Milano, allora appena nato) di questa "Querela contro ignoto", che l'Istituto del Dramma Popolare ci ha riproposto ieri sera, sull'antica ed illustre piazza del Duomo. "Querela contro ignoto" vide la luce a Parigi nel 1946: tra i suoi interpreti, l'attore Josè Quaglio, che poi curò come regista la ripresa francese del testo, nel 1958, e che firma quella attuale.
Nato in Russia, e russo per parte di madre, lo scrittore Georges Neveux ha ambientato nella sua seconda patria (anno 1910) la vicenda di quella che è la sua opera più famosa. Dinanzi al procuratore di Stato di una remota provincia si presentano quattro persone: Pluskin, direttore di un'impresa di assicurazioni; Mikhail, studente in medicina, e sua moglie Dora; Kopak, un meschino insegnante di pianoforte, divenuto ricco per aver vinto alla lotteria. Tutti e quattro, ciascuno per suo conto e quindi solidalmente, hanno deciso di uccidersi; ma prima vogliono sporgere querela contro colui che ritengono responsabile dei loro mali: Dio stesso.
Il procuratore, uomo d'ordine, pacioso e godereccio, è ovviamente sbalordito e indignato; tanto più che le ragioni dello sconforto dei suoi antagonisti risultano piuttosto sottili. Kopak, raggiunta per caso l'agiatezza, è tuttavia intristito dal ricordo della fame patita, e dalla visione di quella che soffre il suo prossimo; Mikhail e Dora, separati lungamente per la prigionia di lui, non riescono a ritrovare la perfetta immagine di quell'amore che pur li aveva sostenuti nella solitudine; Pluskin è ossessionato dal senso della propria bruttezza, e dal sapere la moglie (già da lui disprezzata) felice con un altro, e brillante in società.
A rendere completa la confusione dell'esponente della legge, giungono una povera vecchia e la giovane prostituta Pascià; la prima ha perduto il nipotino, annegato; la seconda, come sapremo verso la fine, è rimasta incinta. Insomma, ad argomentare i propositi personali di annientamento e quelli collettivi di una rivalsa sul Creatore, qui ci sono motivi assai concreti; ma tanto più si teme il dilagare di questa pazza smania vendicativa contro Qualcuno che, sulla terra, è pur rappresentato dallo Zar, dalle istituzioni, dallo sterminato esercito dei funzionari.
Il dato sociale è peraltro appena sfiorato. Il dibattito si restringe nel cerchio dei problemi dell'esistenza, prima o al di là di quelli della storia. Ed avviene, man mano, che i sei «querelanti» si convincano ad accettare i tormenti della vita, le sue difficoltà, le sue atrocità persino. Ma, intanto, si è incrinata la bella sicurezza del procuratore, il quale assumerà su di sé la cupa decisione primitiva dei visitatori.
Nell'edizione sanminiatese, il gesto suicida del magistrato sfuma in un clima di ambiguità. Ma, lasciando da canto questo dettaglio, bisogna dire che Querela contro ignoto ha perduto, col trascorrere del tempo, molto del suo mordente. Certi temi sono divenuti, dall'immediato dopoguerra a oggi, di uso e consumo quotidiano; anche la «scandalosità» di una dimostrazione «per assurdo» di Dio e della fede in lui è non poco diminuita; da quando almeno, Ingmar Bergman (per citare un nome caro all'ecclesiastico prof. Giancarlo Ruggini, generoso e intelligente promotore della «Festa del Teatro») ne ha tratto ricca materia cinematografica. L'artificiosità dello schema dialettico ideato da Neveux si palesa appieno ad occhi ed orecchie moderni, così come il sapore fortemente letterario della collocazione storico-geografica. Il regista Quaglio avrebbe però potuto sfruttare meglio, secondo noi, quanto delle situazioni e dei personaggi richiama modelli di grande suggestione, a cominciare da Gogol. Avrebbe potuto, cioè, sottolineare maggiormente gli aspetti grotteschi dell'azione drammatica, la voluta comicità dei dialoghi, la dimensione non realistica, ma appunto paradossale.
Ne avrebbero guadagnato, insieme, l'autore e gli stessi attori, che sembrano generalmente insidiati dall'incertezza dello stile impresso alla rappresentazione; benché poi arrivino a manifestare in buona misura, secondo le occasioni, il proprio talento. Sandro Merli è un procuratore giustamente sanguigno, Alessandro Sperlì un ombroso Pluskin, Mino Belici un Kopak di vivace risalto, Bruno Girino un esatto Mikhail, Rosetta Salata una delicata Dora. Rammentiamo ancora Scilla Gabel, Gina Sammarco e Anny Girola. La scena e costumi sono di Titus Vossberg. Lo spettacolo, cordialmente applaudito alla «prima», si replica sino a domenica.
AGGEO SAVIOLI L'Unità, Roma, 11 Luglio 1968
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