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La recensione di Massimo Dursi
 

Gronda oro la Chiesa che grondò sangue
Nella Piazza del Duomo di San Miniato, fra le nude e grigie facciate della chiesa e del vescovado, si innalzano, fioriscono alle luci dei riflettori, altari dorati su alti gradini che grondano oro. Nella opulenza terribile della scena di Misha Scandella, il protagonista del «Mistero» di padre Turoldo non ha scampo e rifugio. Diciamo, per non essere fraintesi, che impegna la sua coscienza subito e nel modo più duro, poiché su quell'oro si inginocchiano i poveri. Il protagonista è il sacerdote che celebra la Messa nel giorno di San Lorenzo — appunto il 10 agosto. Per meglio conoscerlo ricordiamoci del suo autore. Il friulano Padre David Maria Turoldo, si legge in una presentazione, «è una presenza scomoda». Vogliamo aggiungere che la sua «assenza» non muta quella «scomodità»? Il servita vive e predica ora nel Canada, ma qua ancora combatte le battaglie che impegna soprattutto con sé stesso.
Confessa apertamente, a tutti, il conflitto delle contraddizioni umane e divine che tenta e prova inesaustamente l'animo di chi vuoi rinascere ogni giorno alla fede. Quando si sarà ricordato che il convento milanese di padre Turoldo ospitò il Comitato di liberazione di cui egli faceva parte; che fu compagno di lotta antifascista di Ezio Vanoni e che per Nomadelfia raccolse centinaia di milioni, appariranno abbastanza chiare certe sue « aperture » sociali. Vi si lanciava attraverso allarmando — è facile immaginarlo — chi poteva o doveva temere per la strada che si sarebbe aperta davanti al suo impeto. (In Italia, al contrario che in Francia, si è poi sempre pronti a temere).
Padre Turoldo ha pubblicato libri di poesia, vincendo premi, come sa chi ha qualche pratica di cose letterarie, e aveva già scritto per il teatro La terra non sarà distrutta, opera non rappresentata. Questa Passione di San Lorenzo è del 1958. Dire che l'autore è un uomo inquieto è dir cosa ovvia, si aggiungerà che le sue inquietudini vogliono rispecchiare quelle di una società la quale preferirebbe adagiarsi su soluzioni di cui l'abitudine ha fatto perdere talvolta anche il senso. È naturale che non intendiamo parlare di questioni teologiche o puramente teologiche. S'è visto che padre Turoldo ingaggia battaglia anche in altri campi, mirando come è logico, a richiamare poi l'avversario nel proprio per meglio sconfiggerlo. Ma bisognerebbe aggiungere che mira più a chiarire.
Uno dei suoi avvertimenti è intanto che ogni soluzione va rinnovata ogni giorno, per non perdere il valore delle cose e delle responsabilità. Se ciò è importante per fatti e sentimenti della comune vita mortale, diventa impegno tremendo e inevitabile quando si varca le soglie del divino — e seguiti pure dal corteggio di quei fatti e sentimenti che domandano un senso nuovo. Non è facile all'autore rifugiarsi nell'ineffabile: ed ecco il dramma del «Sacerdote», protagonista, e la sua quotidiana scoperta: la liturgia si rifa vita, rifluisce alle origini, ma rinnovando tentazioni, dubbi, contraddizioni. Investe la coscienza, si identifica in essa. Ma quella vita si dilata, scuote, dissolve l'inerzia dei fedeli; ne fa voci e personaggi di quel dramma, anzi i soli personaggi che contino. Il Sacerdote ne sopporta le ribellioni, le accuse di ingiustizia o di abbandono, la disperazione («Cristo è uno in più venuto a piangere»: soltanto). Non sono colpe ma gli effetti della sventura. Non richiamano pene ma conforto. È l'esempio che allora si ripropone e per volontà degli infelici, dei ribelli, dei poveri.
Il sacrificio di San Lorenzo si rinnoverà nella Messa per San Lorenzo. Si rinnova e si risolve il conflitto di allora e come allora. (E qui M.R. Cimnaghi che ha adattato alla scena questo «Mistero», identifica, si può dir logicamente, il sacerdote officiante con lo stesso Santo). San Lorenzo, arcidiacono di Roma, fu torturato e messo a morte perché non consegnò i beni della Chiesa all'Impero. Li distribuì agli infelici, ai poveri, ai «minimi» che presentò ai persecutori come «i tesori eterni» della Chiesa. Il bracere su cui abbrucia diverrà per essi «il roveto sacro che mette in fuga le tenebre». Quelle pietre su cui grondò il sangue dei martiri, grondano adesso di oro, perché i «minimi» stessi che lo ebbero in dono da San Lorenzo, lo ridonarono per edificargli un tempio che è pure la loro casa. Ma bisogna rammentare che ogni giorno San Lorenzo è pronto a ripetere il dono e a sacrificarsi per esso alla tirannia negata alla verità divina. La Chiesa non deve aver bisogno di costituirsi in potenza per sopravvivere.
Siamo alla fine. I fedeli abbandonano la chiesa, ancor prima che il rito si concluda. Il sacerdote dovrà riguadagnarli l'indomani, e così sempre, per non restar solo nel fasto inutile di una casa abbandonata.
Il «Mistero» di padre Turoldo, che ha qualche reminiscenza eliotiana, risente di una certa euforia apologetica che talvolta sospinge la battuta oltre i limiti della commozione, nell'enfasi dichiarata. Altre volte il tema resta imprigionato nel suo schema (come quello dello Stato di fronte alla Chiesa) e non artisticamente risolto. Non giova poi al moto dei sentimenti il loro uguale livello drammatico, ma frequenti sono i momenti suggestivi che la regia di Giovanni Poli ha reso con plastico vigore, in un variare continuo di composizioni e nel gioco sapiente dei cori. Forse qualche turbamento più accorato dei molti personaggi, specialmente nel primo dei due tempi, non avrebbe nuociuto alla efficacia narrativa costantemente tesa: ma la prova di Poli è stata eccellente, tanto più considerando le molte difficoltà del testo. Molto bravo Tonino Pierfederici, il « Sacerdote », ed ottimi Andrea Bosic, Nino dal Fabbro, Adalberto Merli e Lucio Rama. Eccellenti le azioni mimiche di Gian Campi ed i cori gregoriani di Rolando Maselli. Della bellissima scena di Scandella si è detto. Il successo è stato vivissimo.
Massimo Dursi, Il Resto del Carlino, Bologna, 11 Agosto 1960




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