Dopo venti secoli, ancora oggi il “processo a Ges�” � monito e richiamo forte per la ricerca della “verit�”, una ricerca profonda che superi quella� di una� facile verit�, inseguita da una moltitudine indistinta di individui assetati di giustizia sommaria , mossi da una piazza� che oggi come allora antepone gli egoismi personali e i vantaggi di qualsiasi natura (economica ,privilegio, regalia etc.) alla solidariet�. Questo testo parla� a quanti ancora dopo secoli, compiono un cammino di sofferenza fino al limite della sopravvivenza, non ascoltati, non visti, invisibili .
In una societ� che riconosce solo i vincenti e il successo, ancora una volta Fabbri ci pone una domanda ineludibile: “Chi pu� chiamarsi fuori?” Chi pu� ancora assistere inerte alla deriva profonda� che stiamo attraversando in questi anni. “Chi pu� chiudere gli occhi di fronte alla assoluta� mancanza di valori della nostra epoca”: chi � complice di una visione “materialistica e criminale” della societ� civile. Oggi ancora una volta risuona alto l’urlo contro l’indifferenza, contro il voltarsi dall’altra parte - pur di non vedere, pur di non essere coinvolti. “Siamo tutti Pilato?” Ancora una volta queste domande risuoneranno alte nello spazio (il teatro) che da sempre vede� la comunit� degli uomini� specchiarsi, interrogarsi, partecipare al percorso doloroso dei protagonisti. Processo a Ges� mette in moto quel viaggio misterioso e profondo che solo il teatro rende visibile attraverso l’esperienza che si fa carne, attraverso la parola che accompagna lo spettatore e i protagonisti in un labirinto di passioni, ragioni� e sentimenti.
Teatro nel teatro, esempio alto di rappresentazione, questo testo di Diego Fabbri � uno dei pi� coinvolgenti della sua produzione drammatica.
Lo spazio scenico scelto per la rappresentazione � un’agor� dove ancora una volta si incontrano e si scontrano le ragioni dei protagonisti del “processo” e quelle degli spettatori chiamati ad assistere in maniera partecipata all’epifania della serata e alla sua naturale conclusione.
Trovo in questo testo, la stessa inquietudine di alcune opere di Pirandello, quelle indagini profonde dell’animo umano che mostrano fin nel profondo le debolezze, le pulsioni pi� ancestrali degli individui osservati, mi muove� la stessa tensione che mosse le avanguardie teatrali degli anni ’70 a rompere gli usurati schemi della “rappresentazione” alla ricerca di una “verit� scenica” che riconsegnasse al teatro la sua funzione pi� nobile.
Questo � un testo che ha bisogno di attori che sconfinino con naturalezza dalla condizione di testimoni/personaggi a quella di una “umanit� assente”, attori che abbiano la capacit� di farci sentire tutti dentro questa “immensa piazza” che � il mondo. Lo spettacolo ha bisogno di un cast numeroso e motivato che raccolga la sfida di un teatro necessario e contribuisca attraverso un uso sapiente della parola a coinvolgere lo spettatore che viene chiamato ad essere non pi� semplice osservatore ma complice e testimone di un evento che ancora oggi scuota con forza le coscienze degli individui. Le musiche sottolineano e aiutano a tenere alta la tensione, fortemente presente per tutta la durata della rappresentazione.
Maurizio Panici
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