A San Miniato va in scena la vita di Michele Piccirillo
Abuna Michel, un frate di frontiera
«Sai, sono stato in Cina. Ho visto la Grande Muraglia: bella, imponente, ma non servì a nulla. I barbari passarono lo stesso. Bisogna dirglielo, a Sharon». E' una battuta pronunziata col solito allegro ma un po' duro sorriso, sotto il luccicar degli occhiali da studioso. Ogni tanto Michele Piccirillo, francescano e archeologo che vive, studia, lavora e prega a Gerusalemme ma che lavora, insegna e polemizza anche in Siria, in Giordania e anche in Italia, si gioca la tranquillità e magari (almeno temporaneamente) qualche amicizia, un po' per innata sincerità e per coraggioso amore della verità, ma un briciolo - sospetto io - anche perché per tutto l'oro del mondo non rinunzierebbe a una battuta polemica.
FRANCESCANO ARCHEOLOGO, UOMO DI PACE
Michele Piccirillo sta passando qualche giorno in Toscana, ospite della città di San Miniato e della Fondazione Istituto Dramma Popolare che quest'anno, fino a domani, presenta Il Custode dell'Acqua, raffinato e fedele adattamento teatrale - curato da Sergio Pierattini e da Marzia G. Lea Pacella - dell'omonimo romanzo dello scrittore e dirigente della Rai Franco Scaglia. La regia di Maurizio Panici ha reso mirabilmente, nella sera sul bel sagrato del duomo samminiatese, l'atmosfera d'una Gerusalemme dalle pietre inondate di luce a accarezzate dalle ombre. Si seguono le vicende di padre Matteo, francescano archeologo che frequenta con serena schiettezza grandi della terra e pecorelle smarrite, studiosi e povera gente, agenti del Mossad e avventurieri.
Amico di tutti, soprattutto di ebrei e di arabi, ma pronto a cantarla chiara a tutti, Michele Piccirillo ha passato la sua parte di guai, in Israele; ma è una specie di notorietà, dal carisma leggendario e dalla leggendaria autorevolezza. L'abuna Michel passa tranquillamente - ma qualche volta s'arrabbia: il suo caratteraccio è proverbiale - da un posto di blocco a una villa presidenziale o a una reggia; la famiglia reale di Giordania è annoverata trai suoi più cari amici. Quando papa Giovanni Paolo II visitò la Terrasanta, Piccirillo lo accolse sul Monte Nebo, in Giordania, l'altura dalla quale Mosè avrebbe rimirato la Terra promessa prima di chiudere gli occhi e dove oggi sorge uno splendido parco archeologico per decenni tenacemente voluto dallo studioso francescano e realizzato fra mille difficoltà. Esiste una memorabile foto che li mostra di spalle, accanto, il Papa e il frate, mentre ammirano il panorama verso Gerico e il Mar Morto. E circola una battuta. Qualcuno della stampa internazionale avrebbe chiesto, vedendola: «Ma chi è quel vecchio signore vestito di bianco che sta accanto a padre Michele?». Non è vera, ma è ben trovata: e lui ci ride sopra, però è contento. Michele scherza, parla con disinvoltura dei suoi incontri col re di Giordania e delle sue ricerche: eppure, hai la sensazione che parli sempre e solo di Dio, e magari con Lui e a nome Suo. Così, come se niente fosse. Una sessantina d'anni dei quali oltre i due terzi passati in Terrasanta: quest'uomo di studio ha visitato tanti campi di scavo e letto tanti libri, ma ha visto anche tante guerre, scene di orrore e di dolore, rabbia, ingiustizie, disperazione: e, senza mai dimenticar la carità e il perdono, non dimentica nulla. Michele Piccirillo è il successore di padre Bagatti a Gerusalemme, tanto nello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme quanto nel Franciscan Archeologica! Institute del monte Nebo. Parlando qualche mese fa di lui su "II Foglio", Franco Scaglia diceva che un personaggio così sarebbe piaciuto a Bruce Chatwin: ogni vero viaggio, ogni vera avventura è anzitutto una ricerca spirituale, una "cerca del Graal". E il Graal di Michele è forse Umm ar-Rasas, la mitica città scomparsa nel deserto siriaco nella quale egli ha scoperto decine e decine di mirabili tappeti musivi. Ma anche al Nebo, dove lavora dal 1976, ha scoperto mosaici bellissimi e antiche chiese. Contribuendo fra l'altro a sfatare la leggenda pseudostorica secondo la quale i musulmani, conquistando la Terrasanta nel VII secolo, avrebbero raso al suolo i santuari cristiani. Nemmeno per idea. Qualcosa del genere l'avevano fatta i persiani zoroastriani, pochi decenni prima: ma sotto i califfi umayyadi di Damasco le comunità cristiane prosperarono.
UN SOGNO PER GERUSALEMME
Michele Piccirillo ha perfezionato e pubblicato alcune delle più straordinarie ricerche archeologiche degli ultimi trent'anni. Provo a farlo parlare ancora di sé, dei suoi scavi, dei suoi progetti. Tanti, fra cui una scuola di restauro del mosaico alla quale dovrebbero partecipare studenti da tutti i paesi arabi vicini a Israele. Ma poi torna alle cose che gli stanno ancora più a cuore, che lo invadono. «Così non può andar avanti» ripete: «Gerusalemme vecchia, quella storica, quella dei santuari delle tre grandi religioni monoteiste e che del resto è un francobollo cinto dalle mura, al centro della megalopoli moderna, ha bisogno d'una internazionalizzazione; un regime di sicurezza e di stabilità, internationally guaranteed, secondo le risoluzioni ONU 181 e 242. Solo in questo modo, e rispettando anche le aspettative dei palestinesi, sarà anche possibile assicurare legittimamente a Israele il possesso della città come capitale. E' la soluzione da sempre raccomandata dal Vaticano».
Franco Cardini, La Nazione, 26 luglio 2005
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