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La recensione di Giorgio Prosperi
 

Il tema della vocazione in in Eliot inconsueto e leggero
Sono ormai vent'anni che l'Istituto del Dramma Popolare allestisce con continuità ininterrotta uno spettacolo di contenuto religioso nella quiete meditativa di San Miniato, folta di tonache, di chiese e di seminari. Quest'anno si festeggia appunto la ventesima festa del teatro, con una mostra fotografica e scenografica delle realizzazioni che dal 1947 hanno portato alla ribalta opere di Ghéon, di Cicognani, di Copeau, di Thierry Maulnier, di Bernanos, di Fabbri, di Betti, di Graham Greene, e dei non molti altri autori di oggi, i quali continuano ad ispirarsi a una fonte soprannaturale, cattolica e non cattolica. Non poteva mancare, in una simile rassegna il nome di T. S. Eliot, il maggiore dei poeti religiosi contemporanei, il quale vi figura fin dal 1948 con Assassinio nella cattedrale diretto da Strehler, poi con il Grande statista, Riunione di famiglia. Quest'anno si è rappresentato Il segretario particolare (The confidential clerk), la più leggera ed inconsueta delle commedie di Eliot, nella traduzione di Marcella Pavolini. Al qual proposito diremo che in un primo momento la versione italiana del titolo c'è parsa un tantino libera, suonando il titolo inglese qualcosa come «l'impiegato di fiducia». Ma poi, riflettendo che «segretario» è qualcuno che custodisce un segreto, e che «particolare» suggerisce anche l'idea di «speciale», «fuori dell'ordinario», «sui generis», il titolo italiano ci sembrò particolarmente adatto alla natura del personaggio al quale si riferisce.
Il giovane Colby Simpkins, assunto quale segretario particolare da Sir Claude Mulhammer, al posto del vecchio Eggerson, che ha tenuto quel posto con lealtà e con saggezza per oltre trent'anni, è veramente un tipo sui generis ed ha un segreto da custodire, per lo meno al di fuori del cerchio familiare: egli è infatti figlio naturale di Sir Claude, che lo ebbe da una donna da lui amata molti anni fa, ed ora morta. Il bambino è stato allevato da una zia, sorella della morta. Ora, assumendolo in casa propria come persona di fiducia, Sir Claude vuoi dare al suo rapporto col figlio una sanzione definitiva.
Curioso personaggio, Sir Claude: figlio di un finanziere, aveva da giovane una spiccata vocazione per la ceramica: ma accortosi in tempo che sarebbe diventato un artigiano di second'ordine, ha preferito seguire le orme paterne e ora vive in una agiatezza senza preoccupazioni. Scapolo a lungo, ha trovato il modo di mettere al mondo due figli: Colby e Lucasta, avuta da una donna di bassa estrazione, morta quando Lucasta aveva otto anni. S'è poi sposato con una aristocratica, Lady Elizabeth, anche lei madre di un bambino avuto irregolarmente. Il padre del bambino è morto in Africa; del piccolo, affidato ad una famiglia, non si ha più notizia; Lady Elizabeth, svagata e smemorata, non ricorda nemmeno il nome della donna cui lo affidò, né il luogo in cui avvenne il fatto. Tanto Colby quanto Lucasta sanno di essere figli di Sir Claude, ma ignorano la loro rispettiva parentela di fratello e sorella. Sicché quando si incontrano e familiarizzano nasce tra loro una vibrazione, un vero preludio all'amore, nonostante il fatto che Lucasta sia mezza fidanzata con il giovane B. Kaghan.
Il lettore può sorridere di tante complicazioni, giacché ne sorride anche Eliot. Con l'eleganza che gli è propria, il poeta inglese ha volutamente radunato tutti gli ingredienti dell'intrigo tradizionale, dalla commedia plautina, alla shakespeariana Comedy of errors, a pirandelliani problemi di identità.
Ma il suo obbiettivo non è, come in Pirandello, quello di mostrare l'inconsistenza e la inconoscibilità del vero naturale ed affidarsi pertanto alla fede ed al sentimento; il problema di Eliot, i cui personaggi hanno, sia pur celata, una loro precisa identità, è di tessere, accanto al groviglio comico delle situazioni, biografie spirituali, di mostrare che ciascun personaggio viene da molto più lontano di quanto i suoi dati anagrafici lascino supporre, e che il problema fondamentale della vita è un problema di vocazione, o per meglio dire di accettazione della propria vocazione, fino a quel misterioso confine, dove, al di là della vanità e della ambizione, esiste solo puro amore.
Il torto di Sir Claude è di non essersi accettato quale veramente egli era; lo stesso torto egli vorrebbe in Colby, la cui vocazione per la musica, sincera e prepotente, non l'avrebbe mai condotto ad essere qualcosa di più di un modesto organista. E Colby si lascia convincere a conservare la musica come hobby, e ad accettare l'impiego ben più redditizio di segretario di suo padre. Sennonché misteriosi segnali sembrano richiamare gli uomini sensibili come Colby, al loro vero destino: il primo è la rivelazione che Lucasta è sua sorella; ciò che viene a interrompere ogni sentimento e impegno d'altra natura; il secondo è che Lady Elizabeth, udendo il nome della persona che ha cresciuto Colby, crede di riconoscere in lei la stessa donna cui affidò suo figlio. L'imbroglio meccanico dilaga, proprio mentre si stringe il nodo ideologico. Insomma: Colby non è figlio di Claude e della sorella della signora Guzzard, ma della stessa signora Guzzard e di suo marito, un povero organista di parrocchia; è vero che Lady Elizabeth affidò il suo bambino alla signora Guzzard. Ma poi, prolungandosi l'assenza della madre, il piccolo fu adottato da una coppia senza figli, i Kaghan. In altre parole, B. Kaghan, il fidanzato di Lucasta, è il vero figlio di Lady Elizabeth. Nella memoria del vero padre, che non ha conosciuto, ma del quale ha serbato la vocazione (è abbastanza chiaro il simbolo di un'alta Paternità spirituale di cui ciascuno di noi serba qualcosa), Colby si accetterà come organista, sincero anche se mediocre, rinunciando volentieri agli agi che gli offriva Sir Claude; Lady Elizabeth si accetta come madre di B. Kaghan, dopo aver vagheggiato la maternità di Colby; Lucasta scopre che il suo vero destino è con B. Kaghan, dopo aver vagheggiato anche lei un più intimo legame con Colby. E finalmente Sir Claude, affranto per la perdita di Colby quale suo vero figlio, proietterà tutto il suo affetto sulla figlia vera, Lucasta. Ecco come obbedendo all'intimo richiamo della vocazione, cioè dell'amore senza vanità e senza ambizione, i pezzi di un gioco complicatissimo tornano a posto. Il gusto della commedia è tutto in questo giuoco scopertamente teatrale, implicitamente morale e poetico; in un richiamo all'integrità di se stessi, in un mondo che sembra dominato dal più intricato degli intrighi. Siamo noi uomini, insomma, che complichiamo le cose, perché non vogliamo obbedire alla voce interna che ci comanda; che per vanità ed ambizione ci illudiamo di cambiare il corso delle cose. Ma basta che qualcuno ascolti codesta voce, perché tutti finiscano per udirla.
La casa dei Mulhammer, costruita da Misha Scandella con la sua solita precisione, lasciava vedere alle sue spalle la facciata della monumentale Chiesa di San Francesco. Dai prati circostanti si udiva il canto dei grilli. Questa cornice di antica religione gerarchica e di natura, era il migliore accompagnamento possibile alla musica di Eliot,  così apparentemente mondana, distaccata da ogni interesse soprannaturale. La regia di Quaglio ha cercato di suggerire questo doppio fondo.
Ed ha trovato il suo più saldo punto d'appoggio nella presenza di Elsa Merlini, in gran forma, che ha dato a Lady Elizabeth uno scoperto rilievo comico e patetico, quale soltanto una commediante del suo livello poteva fare. Gianni Santuccio, ammirevole nel primo atto come un Sir Claude dalle concrete ambizioni mondane e dalla sentimentale vanità, non c'è apparso poi, come avrebbe dovuto, ironicamente superato dagli avvenimenti, ai quali ha continuato a partecipare con un sospetto di melodramma. Corretto, intcriore, fine Giulio Bosetti, che avrebbe tutti i numeri per sontuose parti in costume e continua ad appassionarsi a problematici personaggi moderni. Nel doppio gioco tra interiorità ed esteriorità Lucilia Morlacchi, nella parte di Lucasta, non ha saputo eliminare qualche non necessaria durezza. Umanamente saggio e preciso Giuseppe Pagliarini nella parte di Eggerson, il segretario uscente, ma sempre persona di fiducia di Sir Claude; semplice e umano Gianni Bertorelli nella parte di B. Kaghan, e molto espressiva Adriana Innocenti, la signora Guzzard, che con il suo ingresso di piccola borghese in un mondo superiore al suo, dissipa le nebbie riconducendo il modesto ma caldo sole della verità.
Si sarebbe desiderato a tutto il contesto dello spettacolo un po' più di asciutta ironia, ecco tutto. Giacché Io spettacolo merita, piace, a giudicare dagli applausi; e non possiamo congedarci dal lettore senza riflettere che esso non andrà in giro, morirà a San Miniato. Al solito noi siamo i bravi carrozzieri di una sola vettura, che non uscirà dal salone di esposizione.
Giorgio Prosperi, Il Tempo, Roma, 24 Agosto 1966




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