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Liberazione - La recensione di Simona Maggiorelli
 

Un "Re pescatore" troppo folcloristico
L'Istituto del Dramma Popolare cominciò nell'immediato dopoguerra a mettere in scena testi teatrali mai prima rappresenta in Italia, ricercando in un progetto di promozione di una cultura cattolica non confessionale e bacchettona, opere che esprimessero una spiritualità spesso travagliata, attraversata dai dubbi e dai bisogni irrisolti della vita quotidiana. Dall'Assassinio nella cattedrale di T. S. Eliot diretto da Strehler, di anno in anno, la Festa del teatro ha presentato a San Miniano opere di Bernanos, Greene, Ghelderode, drammi come Ipazia e il messaggero di Mario Luzi, Il processo di Shamgorod di Elie Wiesel o il bellissimo Fiorenza di Thomas Mann. Quest'anno, per la cinquantesima edizione, la scelta è caduta su Il re pescatore, l'unico lavoro teatrale dello scrittore francese Julien Gracq e a dirigerlo è stato chiamato Krzysztof Zanussi. Il regista polacco (responsabile della biografia filmata del papa) ha puntato sul lato fiabesco dell'ambigua e stratificata versione della storia di Perceval che Gracq scrisse nel 1948. Ricorrendo a una spettacolarità casalinga, con tanto fumo e bardature da folclore medievale, ha cercato di accendere le diverse scene del dramma come visioni che raggiungono lo spettatore dagli opposti lati della piazza. Ma al di là queste soluzioni teatrali un po' ingenue e gratuite, ciò che davvero convince poco è l'intera operazione drammaturgica che taglia in maniera schizofrenica il testo originale, lasciando senza svolgimento i passaggi più interessanti del dramma. Tra le quali, la ribellione di Perceval di fronte a chi, come l'eremita, gli chiede di sublimare il proprio desiderio, il suo istintivo tentativo di salvarsi dalla castrazione che gli viene inferta dal padrere, e di confrontarsi con la potenza dell'immagine femminile, rappresentata da Kundry. Come una marionetta il giovane cavaliere errante improvvisamente si dimentica di tutto questo, così come Kundry, apparentemente senza motivo salta da un aspetto all'altro del suo carattere. E certamente non viene in soccorso dei due giovanissimi interpreti (Vincenzo Bocciarelli e Ludovica Tinghi) l'esperienza attoriale che permette a Giulio Brogi di dare, nonostante tutto, spessore al personaggio di Amfortas, re del Graal.
SIMONA MAGGIORELLI, Liberazione 21 luglio 1996




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