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Il Grande Vetro - La recensione di Elena Bacchi
 

Billy Budd la forza del simbolo
L'enorme nave-balena bianca, opera dello scultore Pietro Cascella, si è voluta prendere un insolito fuori-programma, durante l'anteprima di Billy Budd di Melville, per la cinquantunesima Festa del Teatro. Ha piovuto, con forza e ripetutamente, sul piazzale del Duomo di S. Miniato e gli spettatori, incerti se ci sarebbe stato lo spettacolo o no, si sono ritrovati soli, senza la mediazione degli attori, a guardare quella grande scultura-palcoscenico che navigava fra lampi e tuoni, carica di tutto il simbolismo misterioso ed inquietante che il bianco melvilliano sa ispirare: un effetto scenico di grande sintesi che si è protratto per tutto lo spettacolo.
E' la nave il luogo dell'unità di tempo e di spazio dell'azione, il microcosmo che tutto contiene e dal quale non si può sfuggire. La struttura narrativa, quasi come in una tragedia greca, domina e incalza i personaggi, chiusi in ruoli che condizionano e determinano le loro azioni, fino allo scoglimento nel canto epico finale.
Il  protagonista, il Bel Marinaio Billy Budd viene, nel 1797, arruolato a forza come molti altri sull'Indomita, veliero da guerra inglese e suscita immediatamente l'astio e l'avversione del maestro d'armi Claggart il quale, dopo aver tentato di farlo cadere in alcuni tranelli per screditarlo, lo accusa apertamente di aver tramato un ammutinamento. Il Capitano Vere, uomo colto e razionale, non crede alle parole dell'ufficiale e chiama il marinaio perché possa discolparsi, ma questi, per l'emozione e la sorpresa, non riesce a parlare e sferra un pugno micidiale a Claggart che cade a terra fulminato. Immediatamente viene istituita una corte marziale che, pur riconoscendo l'innocenza di Budd per l'accusa di Claggart, lo condanna a morte per l'omicidio. L'esecuzione ha luogo quasi subito e da quel momento il Bel Marinaio diventa una specie di eroe mitico, la cui vicenda viene cantata e raccontata dai marinai. Il protagonista Billy è un giovane sui vent'anni, bello di una bellezza che lo determina tutto. E' inconsapevole della propria avvenenza, del proprio fascino, della propria vita come dell'effetto che provoca intorno a sé; una Natura intatta ed incontaminata che può essere violenta o dolcissima, ma che comunque non si rende mai conto, fino alla fine di quello che gli succede intorno. Cieco e sordo alle parole, ha con la Parola un rapporto particolare: quando è arrabbiato o emozionato comincia a balbettare fino ad arrivare all'afasia completa. Claggart è il suo negativo, o forse una sua degenerazione; bello ed elegante, non più giovanissimo è uno spirito astioso e maligno. Lui, che tutto contamina, non sopporta la natura incontaminata perché forse ne ha sperimentato le capacità distruttive. Disprezza il suo nemico, pur non essendo completamente insensibile al suo fascino che potrebbe una volta, essere stato suo. Ben si adatta alla sua personalità l'aggettivo "luciferino" che qualcuno gli ha attribuito. Il terzo protagonista, il Capitano Vere è l'elemento razionale della vicenda. In lui la Natura è completamente assoggettata al Diritto che solo mette ordine nel caos. Non importa se sente simpatia ed affetto per il Bel Marinaio, ma soprattutto non importa se è innocente, se in lui non c'è stata mai nessuna colpa. La Legge e l'Ordine di cui egli è portatore e garante sono imperativi molto più forti della quasi insopportabile sofferenza di condannare a morte la Bellezza. Un altro elemento in comune con la tragedia greca è costituito dal Danese, il vate sibillino che indovina e comprende tutti i meccanismi in gioco, ma non viene ascoltato (neanche capito) dal giovane Bel Marinaio.
Il resto della ciurma fa da sfondo corale e contribuisce a creare il pathos epico fino alla catarsi finale quando, dopo la morte di Billy Budd, si eleva un canto celestiale che lo trasfigura in angelo-mito.
L opera di Melville è stata considerata secondo diversi livelli interpretativi. Le numerose citazioni bibliche e il ruolo di vittima sacrificale del protagonista sono stati visti da alcuni come elementi allegorici del messaggio evangelico, oppure una metafora dell'eterna lotta fra il Bene e il Male, ma la magia di quest'opera è soprattutto nell'aver situato il personaggio Billy in un mondo trascendente e simbolico, dove Bellezza, Natura ed Innocenza o quant'altro ci si vuole mettere sono in un rapporto non completamente definito, che lascia ampi spazi per l'interpretazione soggettiva. Egli non si esprime mai, anche nel prologo e nell'epilogo infatti sono sempre gli altri due protagonisti che parlano di lui. A Billy Budd la Parola che rende Soggetto è preclusa. L'adattamento di Groppali, pur fedele allo spirito dell'opera, ha eliminato i numerosi e tortuosi impacci narrativi del romanzo, portando in luce un linguaggio essenziale ed asciutto di grande presa scenica. Impeccabile la regia di Sequi. Il dolente capitano Vere di Massimo Foschi e il mellifuo Claggart di Corrado Pani hanno offerto una magistrale prova di misura recitativa ed espressiva. Bravi tutti gli altri attori, in particolare il giovane Budd-Nisi. La colonna sonora forse avrebbe potuto essere più incisiva.
ELENA BACCHI, Il Grande Vetro, luglio-settembre 1997




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