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Il Tirreno - La recensione di Gabriele Rizza
 

Giochi di fede
49esima Festa del Teatro a San Miniato promossa dall'Istituto del Dramma Popolare. Nel tradizionale scenario di piazza del Duomo va in scena Magic, commedia scritta nel 1913 dall'inglese Gilbert Keith Chesterton e mai prima d'ora rappresentata in Italia. Noto soprattutto per aver abbracciato la fede cattolica nel 1922 e per le avventure in «giallo» di Padre Brown, personaggio di grande notorietà cinematografica e televisiva, Chesterton fu scrittore prolifico, poeta, saggista, giornalista, polemista principe, novellatore di successo; infine drammaturgo, anche se pochi sono i titoli al suo attivo (dopo Magic, Il giudizio del dott. Johnson del 1928 e L'uomo che fu detto Giovedì). Fedele all'immagine di uomo impegnato e battagliero, forte di una certezza religiosa raggiunta con intima partecipazione, ma anche attraversata da un inconfondibile retrofusto paradossale e umoristico di forte marca britannica, Chesterton in questa «commedia fantastica» (accolta trionfalmente al suo debutto al «Little Theatre» di Londra, totalizzando oltre sei mesi di repliche), rilancia la sfida al soprannaturale, a quei fenomeni che la logica, la scienza, la filosofia non riescono a spiegare. Il suo è un tono apertamente conviviale, aspro e disincantato, credibile nel suo educato evolversi, dentro una classica ambientazione vittoriana (la scena è di Mario Padoan), fra personaggi tratteggiati con sicuro mestiere e precise distinzioni tipologiche. Si parla di magia in questo lavoro, diviso in tre atti, che Saverio Simonelli ha ottimamente tradotto e di cui Mario Scaccia ha curato una regia essenziale e asciutta. Al centro lo scontro fra fede e fatalità, la certezza scientifica e il mistero dell'anima con la sua sorprendente «verità». Si contendono questo privilegio di credere nel reale, nel fantastico, nel verosimile, o infine di non credere affatto, a costo di sprofondare nella follia, un gruppetto di personaggi, capitanati da un duca svampito e dismesso, liberale quanto incapace di scegliere e da un prestigiatore dubbioso che si fa passare per elfo, «insidia» una ragazza ingenua e sensibile (con love story e conclusivo happy end), e smaschera la poca fede di quattro robusti rappresentanti dell'illuminismo e del positivismo, scettico e razionalista: un dottore agnostico che crede nella scienza, un giovanotto in carriera e pragmatico appena sbarcato dall'America, e un azzimato e petulante pastore anglicano che non crede ai miracoli. Con Scaccia recitavano coerentemente Walter Da Pozzo, Chiara Sasso, Gabriele Tuccimei, Marco Carbonaro, Corrado Olmi, Raffaele Buranelli. Musiche di Federico Amendola. Si replica fino al 26.
GABRIELE RIZZA, Il Tirreno 22 luglio 1995




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