La foresta "incantata" dal Diavolo
Per la sua 47.esima Festa del Teatro l'Istituto del dramma popolare ha — ma solo apparentemente — cambiato veste, sostituendo la canonica prosa con una cosiddetta «commedia musicale». Ma, in verità, ci sono un copione ed un autore, che consigliano di non ritenere sovvertita la funzione dell'Istituto. Infatti, il testo — rigorosamente composto — è Ti-Jean e i suoi Fratelli, e questa «prima» europea è stata preceduta dalla messinscena d'esordio, nel 1958, a Trinidad, e da una successiva edizione americana. Si tratta di una fiaba, scritta dal creolo Derek Walcott, che lo scorso anno ebbe il premio Nobel per la letteratura e che insegna all'università statunitense di Boston. Derek è un poeta (Adelphi ne ha già offerto un assaggio) e un noto drammaturgo di cui la Royal Shakespeare Company di Londra sta ora rappresentando L'Odissea, suo ultimo lavoro.
Di origine africana, di patria caraibica e di lingua inglese, Derek Walcott accoglie nella sua opera lo specifico e l'anima delle diverse culture, senza esitare di fronte ad una libera trasfusione di temi e di motivi che sono loro peculiari.
Così è in Ti-Jean e i suoi Fratelli, favola estrosa nella struttura, ma pensosa e profonda nel tema, che è quello della lotta col male e della sua sconfitta, il diavolo è presente nel mondo sotto mentite spoglie e la sconfitta gli viene dal minore dei tre fratelli, che non soccombe come loro grazie alla sua fragrante purezza di cuore, il Diavolo non può essere una tentazione annidata in chi non è divorato dalle passioni. «L'oscura selva della vita», in cui questa umanità primitiva vive in perfetta intesa con gli animali, viene grazie al giovane Ti-Jean, rischiarata aiutando il cammino degli uomini divenuti fratelli. Ti-Jean è un salvatore: fa rinascere i suoi fratelli ed aiuta a venire alla luce Bolom, lo spirito dei bambini non nati: Bolom, figura del mito caraibico. L'affermazione della vita ribadisce la chiara matrice cristiana di quest'opera e la sua fervida pedagogia.
Il testo e di incantevole fantasia espositiva e di avvincente coloriture liriche; l'azione si svolge in una foresta incantata, dove ogni apparizione ed ogni travestimento sono possibili. Questa concretezza poetica cui sottende un preciso intento morale è poi trattata da Sylvano Bussotti in uno spettacolo commosso e incisivo, lieto e riflessivo, cui soccorre la smagliante «naìvetè» scenografica e la ridente favolosità dei costumi dallo stesso Bussotti ideati, nonché la chiarezza eloquente del movimento scenico, sostenuto con partecipe e convinto fervore anzitutto da Remo Girone nella complessa parte del Diavolo, un diavolo subdolo, ma poi con sofferente nostalgia dell'uomo e del paradiso, e poi da Gianni De Feo, vivido nella parte di Ti-Jean — dal Chiocci e dall'Amato in quelle dei suoi fratelli, dalla briosa Nadia Perciabosco (il Grillo) e dalla delicata Victoria Zinny (nel ruolo della Madre) e dai loro compagni, provveduti e puntuali nel recitare e nel danzare sui ritmi delle ispirate musiche originali composte da André Tanker, che hanno guidato le coreografie di Rocco, eseguite bravamente e con molto humour dal giovane gruppo di attori.
Un palcoscenico animato e cantato dal quale sono venute le parole leggere e significative di Walcott, tradotte con rara perizia da Annuska Palme Sanadio.
Il gioioso e trepido spettacolo — dopo una breve tournée estiva — avrà una bella stagione invernale, quando toccherà piazze come Trieste, Milano (al Nazionale) e Napoli, recando il suo messaggio sereno e toccante, il messaggio di un poeta attento ai sogni, alle debolezze e alle virtù dell'uomo.
Il pubblico è stato progressivamente catturato dalla melodiosa e meditata progressione della rappresentazione che ha lungamente applaudito. E allora, niente di dispersivo, ma ancora una volta, una rappresentazione di qualità (e di spese assai contenute) perfettamente inserita nel progetto di un teatro dello spirito che trova costante ricerca e applicazione da parte dell'Istituto del dramma popolare.
ODOARDO BERTANI, Avvenire 17 luglio 1993
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