Il «Dramma Popolare» racconta a S. Miniato il tempo dell'anima
Il Dramma Popolare di San Miniato giunge quest'anno alla sua 55esima edizione, tenace come quei fondatori che hanno creduto nella necessità di un teatro diverso da quello di centinaia di palcoscenici italiani. Un teatro per pensare, per difendere quei valori che la società del dopoguerra andava rapidamente sostituendo con una filosofia del benessere e del disimpegno che troverà nell'ultimo scorcio di questo millennio i suoi momenti più dolorosi e inquietanti. Incurante delle mode e delle avversità, l'organizzazione del «Dramma» ha proseguito nel suo lavoro di difesa di quel "teatro dello spirito" che non è agiografia, ma dubbio e travaglio, ricerca e desiderio di verità.
E mai come quest'anno il testo si addice alle problematiche della nostra società: Saulo di Tarso, opera del 1913 di Oscar Vladislao de Lubicz Milosz, è la storia di Paolo fino al momento dell'incontro con Cristo, della sua folgorazione che illumina e acceca, che stordisce e porta a nuova vita. È la redenzione, la conversione dell'uomo Saul da uomo della ragione a uomo della "follia divina", dell'abbandono ai misteri della fede, lontana da ogni logica umana. Buono il lavoro drammaturgico operato da Maurizio Schmidt, che ha curato anche la regia di questo dramma: quasi dimezzando il testo originario di Milosz, ha lasciato integro il profondo senso di ricerca e di sofferenza che l'autore lituano ha posto in questa sua opera, inserendolo quale protagonista della sua storia, in un delirio al termine della sua vita fatto di ricordi e di nostalgie. Un dialogo serrato, una recitazione dura, meditata, dove ogni parola ogni gesto amplificano il messaggio immanente di un tempo storico che si fa tempo dell'anima. È l'immensa meridiana che fa da costante riferimento a questo senso di un tempo divino che supera quello umano mentre ai lati il deserto, quello vero, ma anche quello metaforico, indica un percorso senza orizzonte se non interviene una luce nuova a segnare il cammino. La scenografia e i costumi di Emanuela Pischedda costruiscono un percorso ideale per l'ascolto del testo senza cadere nella banale iconografia, ma senza allontanarsi dal contesto storico e drammaturgico, mentre le musiche di Ramberto Ciammarrughi accompagnano tutta l'opera.
Grandissima l'interpretazione di Virginio Gazzolo, alla sua quarta presenza a San Miniato, che ha dato vita e parola a Milosz, ma anche quelle di Maurizio Schmidt, Saulo di Tarso, Mauro Malinverso, suo fratello Rehob, Elisabetta Vergani, la schiava e amante di Rehob Karommah. Tutti hanno saputo misurare con grandissima professionalità quei difficili dialoghi, spesso monologhi urlati contro il cielo, che pesano come pietre sulle coscienze degli uomini. Come quelle pietre che Saulo, prima della conversione ha lanciato contro Stefano, innamorato del messaggio del Cristo, e che avrebbe lanciato anche contro suo fratello, mosso da un integralismo cieco e ottuso che non ammette libertà al pensiero né all'uomo se non quella di obbedire alle regole del più forte.
STEFANO MECENATE, Il Giornale della Toscana, 22 luglio 2001
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