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Il Tirreno - La recensione di Luca Daddi
 

Billy Budd come Cristo. Una crocifissione in uniforme navale
Come Cristo viene accusato ingiustamente, come Cristo muore innocente. E una scheggia dell'albero maestro a cui lo impiccano a espiazione della sua stessa purezza, viene conservata dai compagni quasi fosse una reliquia della Croce.
Eppure Billy Budd, il marinaio un po' animale, un po' angelo, partorito dalla fantasia di Herman Melville e trasportato nel testo teatrale di Enrico Groppali, ricorda più Isacco che Cristo. Il capitano Vere, che nutre per lui l'affetto di un padre, è costretto a metterlo a morte pur sapendolo innocente. E' l'agosto 1798, l'anno successivo al grande ammutinamento di Nore. Così vuole il regolamento della Marina militare inglese.
Billy, interpretato da Maximiliam Nisi, ha ucciso con un pugno il maestro d'armi Claggart (Corrado Pani) che ha ordito contro di lui una trama accusandolo di sedizione. Poco importa che il bel marinaio, dotato di straordinaria bontà d'animo, sia innocente. Dura lex sed lex. Ed è nel conflitto tra coscienza e norma una delle chiavi di lettura di Billy Budd, lo spettacolo teatrale - regista Sandro Sequi - che va in scena fino a mercoledì a San Miniato. L'azione si svolge sulla nave Indomita, ricostruita da Pietro Cascella. Dura lex sed lex. Billy Budd è vittima, prima del maestro Claggart, poi della legge della Marina. E vittima è anche il comandante della nave, costretto a rispettare la norma. Ma non c'è solo il conflitto tra la legge degli uomini e la coscienza personale nella storia allegorica del giovane marinaio. C'è anche l'eterna lotta tra il bene (Billy Budd) e il male (Claggart), distinzione fin troppo manichea rispetto al testo originale di Melville ma forse necessaria. Sia per drammatizzare una storia che lo stesso Melville definì «vista dal di dentro». Sia per sviluppare fino in fondo una tesi contro corrente: spesso non è tanto la carenza di una dote, quanto il suo pieno possesso a isolare un individuo. Nel testo teatrale Billy è così buono e bello da attirare su di sé l'invidia satanica di Claggart, come se il mondo, che si manifesta così incline a sostenere chi è meno dotato, alla fine abbatta chiunque emerga in positivo dal mare della mediocrità.
Ma Claggart è solo l'incarnazione del male? O il suo odio è anche frutto di un amore impossibile verso Billy? L'ambiguità di un approccio omosessuale c'è - Billy è troppo bello e Claggart sa che non potrà mai farlo suo - ma nel testo di Groppali, come nel romanzo di Melville, non è mai esplicitata. Rimangono il manicheismo di fondo, più forte nel testo teatrale che nel romanzo, e la connotazione biblica di Billy. Da un punto di vista religioso il giovane è un analfabeta. Eppure non è fuori dalla religione. E' solo prima di essa, estraneo a ogni tendenza confessionale.
LUCA DADDI, Il Tirreno, 19 luglio 1997




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