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Giornale del Popolo - La recensione di Riccardo Sprecher
 

Il prodigio religioso della parola
Composta nel 1925 (Munch, pastore nella parrocchia di Vederso, fu ucciso dai tedeschi con un colpo alla nuca all'età di quarantasei anni) fu rappresentata per la prima volta nel 1932 in Danimarca, e memorabile è stata anche la versione cinematografica del regista Dreyer. Il tema predominante è quello dell'intolleranza religiosa, superabile dalla forza dell'amore. Solo la Parola - ecco il titolo del dramma - è in grado di operare il prodigio della resurrezione attenuando così il diaframma fra naturale e soprannaturale.
A ricoprire il difficile ruolo del vecchio Mikkel Borgen, padre di tre figli dai caratteri introversi, è stato chiamato un attore di grande forza interpretativa sulle scene dell'immediato dopoguerra e che si fece notare allora in compagnia di Memo Benassi del quale è uno dei più tipici eredi, il grande Mario Scaccia.
Chi non lo ricorda in Chicchignola, cavallo di battaglia del romanesco Ettore Petrolini, in Romolo il Grande del drammaturgo Durrenmatt, in Il rinoceronte di lonesco?.
Il ponderoso dramma Ordet era originariamente in quattro atti e Mario Scaccia, in qualità di regista e adattatore, ha provveduto a ridurlo in due atti sfrondando la materia di tutto ciò che agli spettatori non interessa, nonché di situazioni antiquate, vivificando con spostamenti di scene e frantumando il racconto in vari luoghi deputati come in una sacra rappresentazione.
L'azione si svolge ai giorni nostri in una ricca fattoria della Jutlandia e l'attuale proprietario, l'ostinato Mikkel Borgen, convinto seguace di Grundtving e propugnatore della sua dottrina, soffre nel vedere i figli seguire vie diverse da quelle da lui prospettate.
Ma alla morte della nuora avviene il «miracolo»: un figlio che aveva perso la ragione la riconquista e l'altro può infine sposare la ragazza amata che era stata tenacemente contrastata dai genitori per motivo della diversità di religione: lo stesso Dio che ha tolto una nuora ora ne dà un'altra.
Nel finale, tra lo stupore dei presenti, Inge, la nuora morta di parto, su ordine del figlio rinsavito si leva dalla cassa in cui era stata composta e si presenta sulla scena in abito bianco tutto trine e merletti. Momento di grande drammaticità, mentre il pastore protestante nega l'evidenza dichiarando impossibile il miracolo «dal punto di vista religioso ed etico», e il medico di famiglia si lamenta di non essere stato chiamato a redigere l'atto di morte. Gli altri non chiedono e non dubitano a intonare un inno di ringraziamento al Signore. Il potente realismo di questo «Mistero» avvince lo spettatore per la sua alta drammaticità.
Oltre alla bravura di Mario Scaccia, sempre coerente al testo e allo spirito del dramma, non bisogna dimenticare di elogiare l'ottima rappresentazione fornita dagli altri attori, tutti all'altezza della situazione nei rispettivi ruoli. Anche la musica di Federico Amendola fornisce al dramma un pathos di grande rilevanza e l'atmosfera mistica della Piazza del Duomo contribuisce a creare pace e serenità all'ascolto.
Pubblico molto numeroso che ha chiamato alla ribalta ripetutamente gli attori. Le fortunate repliche si susseguiranno fino al 23 luglio.
RICCARDO SPRECHER, Giornale del Popolo 20 luglio 1992




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