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Il Tirreno - La recensione di Gabriele Rizza
 

Anime cupe a caccia del Nemico
L'itinerario del Festa del Teatro di San Miniato, organizzata dall'Istituto del Dramma popolare, raggiunge quota 61. Sono tanti gli anni spesi a diffondere una forma drammatica in grado di riflettere sulla natura dell'uomo visto come emanazione e contraddizione divina, sull'eterno conflitto fra salvezza e dannazione, significativamente raccolti nella formula "Teatro dello spirito".
In controtendenza con il facile consumismo e intrattenimento, di stampo televisivo, che rassicura il pubblico e crea disimpegno, a San Miniato si conduce laicamente una battaglia di "inquinamento delle prove", di sollecitazione del dubbio, di spaesamento e smarrimento dell'io, un interrogativo dopo l'altro come il teatro dovrebbe fare, che però non sempre trova le feritoie giuste per venire alla luce e uscire vittoriosa dalla scena.
E' il caso di quest'ultima puntata, Il nemico di Julien Green che ha debuttato l'altra sera nella sempre conviviale e piacevole cornice di piazza Duomo, protagonisti di sicuro mestiere Elisabetta Pozzi e Tommaso Ragno, scene come sempre funzionali di Daniele Spisa, regia irrisolta di Carmelo Rifici (già assistente di Luca Ronconi in occasione degli spettacoli approntati dallo Stabile di Torino per le Olimpiadi invernali 2006).
Scritto nel 1954 e finora mai rappresentato il Italia, il "nemico" del titolo dovrebbe essere quella ineffabile sensazione di caduta, malessere e abbandono, anche di incontrollata cattiveria psicologica, che si impadronisce di chi crede di essere giunto al termine della notte, di poter superare la soglia del lecito e afferrare le maniglie dell'imponderabile.
Questione di abissi qui storicamente incorniciati nelle avvisaglie di una Rivoluzione francese già in odore di terrore (che compie il suo "dovere" assassino) e simbolicamente rappresi in un quartetto d'anime cupe e disperate, vogliose di sensi ma incapaci di rappresentarli quanto drammaticamente incompatibili con la tensione emotiva che questo gioco di specchi e riverberi dovrebbe provocare.
E non è colpa di Rifici se il tutto sembra un impasto molliccio di marionette alla deriva, come sagome impacciate di un cartone animato che ogni tanto esce dal "folle" e ingrana la follia di un dadaista "ballet mecanique" o si riavvolge su se stesso come un nastro di Krapp che non più echi né fruscii.
E' colpa di un testo che cerca un Male metafisico e totalizzante (il Novecento?) ma resta ancorato alla disciplina di un dialogo serrato, febbricitante, invasato e oggi francamente improponibile.
Repliche in programma fino al 25 luglio.

GABRIELE RIZZA, Il Tirreno 21 luglio 2007




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