Nella disputa sugli Indios l'affermazione della dignità di ogni uomo
Il domenicano spagnolo Bartolomeo de Las Casas ha appena ricevuto dall'imperatore Carlo V la nomina a vescovo e l'incarico di portare agli Indios le nuove leggi. Las Casas ha vinto la disputa con Juan Gines de Sepulveda, autore di un libro nel quale sostiene che la guerra contro gli indigeni pagani è legittima e santa e che il loro assoggettamento deve precedere la conversione. Las Casas predica pace e fratellanza: gli Indios convertiti al cattolicesimo diventano pari ai conquistatori; la conversione costituisce la vera missione e deve procedere con i mezzi della fede: «Non è durante una guerra che possiamo conoscere i popoli, ma soltanto in pace, perché per la pace sono stati creati. Chi irrompe e attacca un popolo con le armi non lo vede. Con la prepotenza e la cupidigia si frantuma nell'uomo lo specchio in cui si riflette il volto di Dio. La coscienza però segue la legge della verità, e testimonia contro le loro azioni». Accettare la tesi di Las Casas significa capovolgere l'ordine e la vita nel Nuovo Mondo. La vicenda del frate che viaggiò con Cristoforo Colombo nella sua seconda traversata è al centro del romanzo Las Casas vor Karl V di Reinhold Schneider, autore tedesco non molto conosciuto in Italia, ma che la Germania considera uno dei grandi della propria letteratura. Schneider, di cui quest'anno si celebra il centenario, nacque a Baden-Baden il 13 maggio 1903 da padre protestante e madre cattolica. Cattolica fu pure la sua educazione. La sua profonda percezione dei valori della tradizione cristiana, dopo un periodo agnostico, lo portò ad un'opposizione netta al nazismo. Per questo venne perseguitato e la pubblicazione delle sue opere diventò difficoltosa e in gran parte clandestina. Nel 1945 fu condannato per alto tradimento. Lo salvò la fine della guerra. Morì a Friburgo il 6 aprile 1958. Las Casas vor Karl V è considerata la più importante opera narrativa di Schneider, dove trova una formulazione particolarmente solenne il dramma da lui lungamente indagato: l'antitesi tra potere e grazia, tra le irrinunciabili esigenze dell'anima e quelle prepotenti di una determinata interpretazione della storia. Il testo, che già nel 1952 fu ridotto per le scene da Karl Zinnermann, è stato ora riproposto sulla storica Pizza del Duomo di San Miniato, in occasione della cinquantasettesima Festa del Teatro, con il titolo Bartolomeo de Las Casas, nell'adattamento di Roberto Mussapi e la regia di Giovanni Maria Tenti. Letterariamente il testo è molto bello, ma un po' come succede per la lirica con le opere in forma di concerto, così per questa messa in scena la parola sovrasta l'azione. I dialoghi, sia pure affascinanti, rischiano di essere una serie di non brevi monologhi. Bravi comunque gli attori: da Franco Graziosi a Renato De Carmine, da Beppe Chierici a Walter Toschi a Franco Sangermano. Un gruppo che con la parola e la dizione si trova davvero a proprio agio. Della messa in scena, al di là della carenza di «movimento», resta da sottolineare il notevole impianto scenico con la suggestiva proiezione del fondale (di Daniele Spisa e Carlo Fiorini) a ricostruire quel mare solcato da Bartolomeo de Las Casas sulla «nave/mondo» voluta dal regista (che «rischia di incagliarsi e naufragare con tutto il suo carico d'ingiustizia e iniquità») e quel finale con «la croce che sembra l'albero maestro di una nave» e il ritorno nel Nuovo Mondo affinchè, dice Tenti, «l'uomo possa rimanere lo scopo dell'uomo».
Andrea Fagioli, Toscana Oggi, Firenze, 27 luglio 2003
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