Questo sito utilizza cookie tecnici, di profilazione propri e di terze parti. Se continui la navigazione, se accedi ad un qualunque elemento di questa pagina (tramite click o scroll), se chiudi questo banner acconsenti all'uso dei cookie.
Chiudi ed Accetta Voglio saperne di più
 

ARCHIVIO DI TUTTE LE EDIZIONI:

cerca all'interno del sito:

SEGUICI SU:


facebook youtube email



Ministero

Regione Toscana

ARCHIVIO
 
Il Messaggero - La recensione di Renzo Tian
 

Un uomo solo alla battaglia
Teatro «spirituale»: che cosa vuol dire, oggi? Da quarantaquattro anni, a San Miniato, sulla piazza del Duomo e dintorni il benemerito Istituto del Dramma Popolare cerca, fuori dalle mode festivaliere, di mettere in scena risposte a questa domanda, divenuta via via più diffìcile. Quasi mezzo secolo: nel corso del quale si e saltellato da T.S. Eliot a Diego Fabbri, da Graham Greene a Georges Bernanos, da Paul Claudel a Papa Wojtyla, da Ugo Betti a Ignazio Silone e Mario Luzi. Che cosa può dare, ai giorni nostri, il teatro a una spiritualità che non sia solo edificante o devozionale, ma rifletta le ansie e le inquietudini dei nostri giorni? Ancora una volta, bisogna andare indietro nel tempo. Di quasi ottant'anni.
Il testo prescelto per quest'anno è La grande strada maestra di August Strindberg. Composto e rappresentato nel 1909, tre anni prima della morte dell'autore, il dramma è una sorta di parabola nella quale Strindberg ripercorre, allegorizzandole, le tappe essenziali della sua vita tormentata, immaginando di essere giunto al termine o, per meglio dire, al sommo dei suo peregrinare: una vetta contemplativa dalla quale è possibile guardare in basso, ma anche tornare a tuffarti nei flusso incandescente di una esistenza dalla quale non ci si è distaccati. Nella lista dei personaggi, il protagonista è denominato «il cacciatore». Ma nel dialogo egli dice più volte di se stesso, per definirsi, di essere «un soldato». Soldato o cacciatore, siamo di fronte a un personaggio combattente e solitario, un «uomo contro» tal quale fu Strindberg nella sua vita. E nel dramma sfilano, uno dopo l'altro, i bersagli contro i quali lo scrittore si scagliò con tutta la forza dei suoi nervi e della sua intelligenza, la losca protervia dei commercianti avidi e disonesti, di fronte ai quali il cacciatore e il suo occasionale compagno di strada sono quasi disarmati. C'è la tracotanza degli ignoranti che detengono il potere, e vorrebbero ostentare una superiorità anche intellettuale: e il gustoso e crudele «angolo degli asini». C'è la città, un po' mercato e un po' bordello, dove il cacciatore-Strindberg ha ricordi e ferite aperte, e dove il responsabile di un delitto non può essere smascherato solo per l'omertà che lo sostiene e la difficoltà di esibire prove. C'è la presenza della donna vista come avversaria, pronta a fare dell'uomo una preda con le armi del fascino e della sensualità. C'è la cacciata di un fotografo invadente, che precorre con la sua indiscrezione l'era dello sfruttamento dell'immagine e della persuasione occulta. C'è l'incontro con un giapponese che ha serenamente deciso di uccidersi invece che continuare la lotta. E c'è l'incontro finale con un Tentatore che offre agi e vantaggi in cambio dì una sola condizione: che il protagonista agisca «come un uomo normale». C'è un solo momento di luce bianca in questo viaggio nelle bassezze di una società basata sul compromesso e l'avidità, quando il protagonista approda contemporaneamente al giardino delle sue memorie di infanzia e alla visione della figlia, la bambina che senza neanche riconoscerlo gli prodiga tenerezze e premure. Non crediamo che questo testo, come suggerirebbe la cronologia, possa essere considerato il testamento spirituale di Strindberg. Non è presente, qui, la grandissima forza allegorica che governa Verso Damasco. Siamo piuttosto di fronte a un sommario brogliaccio di contabilità morale, col dare e l'avere messe in colonna in maniera anche troppo esplicita. Ma anche così, portandoci il grido di colui che aveva ammonito «ci hanno inculcato la morale e la religione, e poi ci hanno gettato in un mondo dominato dal denaro e dal successo», il dramma di Strindberg è assai pertinente alla esigenza di «spiritualità» in senso lato che è il territorio di ricerca degli spettacoli di San Miniato. Peccalo che la regia di Mario Morini si sia, per così dire, fermata alla superficie di una corretta illustrazione, dando al protagonista il profilo di un eroe ibseniano piuttosto che il contorno di un reduce dagli inferi, e spargendo colore sulle tappe sceniche come su aneddoti significativi. Più che apprezzabile, comunque, è lo sforzo interpetativo di Massimo Foschi nel dare rilievo e vibrazione a questo personaggio da moderna «moralità», ben coadiuvato dall'ottimo Carlo Simoni, da Mico Cundari, Milena Vukotic, Giancarlo Condè, Stefano Gragnani, Gianluca Farnese, Eliana Lupo e molti altri.
RENZO TIAN, Il Messaggero, 21 luglio 1990




© 2002-2021 fondazione istituto dramma popolare di san miniato

| home | FESTA DEL TEATRO 2023 | chi siamo | dove siamo | informazioni e biglietti | scrivici | partner | sala stampa | trasparenza | sostieni | informativa privacy | informativa cookie |

 

Fondazione Istituto Dramma Popolare San Miniato
Piazza della Repubblica, 13 - 56028 San Miniato PI
P.I 01610040501

Home