Ecco padre William: fa un voto, salva una vita ma perde la fede
Graham Greene, il cui nome di narratore corse soprattutto con il romanzo Fine dell'avventura, 1951, ha in bell'ordine, nella sua officina di letterato e di autore teatrale, i ferri del mestiere: una bella conoscenza della cultura scientifica e filosofica dalla metà dell'ottocento alla metà del novecento, da Darwin a Maritain; una conoscenza non superficiale della psicologia e, da buon inglese, della parapsicologia; un discreto senso dell'umorismo e un gusto non banale del poliziesco, adoperato come grimaldello per far passare la merce di contrabbando. Ma tutto ciò sarebbe arida tecnica, se ad animarla e a darle senso non intervenisse un acuto e ruggente sentimento dell'amore, che gonfia il respiro come un pneuma, e produce miracoli. Questo amore non ha connotati né limiti: riguarda ogni oggetto d'amore, un uomo, una donna, un bambino, un parente, anche un nemico. E' un po' ciò che in swahili è il torrente nero della vita e della storia, la corrente che risana e spinge avanti. E che è al tempo stesso personale ed impersonale, ha per oggetto una persona, ma anche la sua situazione nel cosmo.
L'autore, come dicevo, allinea delle idee, senza le quali non si dà drammaturgia. Alcune di queste idee sono esplicite, come il materialismo positivista di H.C. Callifer, del suo vecchio amico e compagno di lavoro Frederik Baston, dell'anziana Mary, moglie di Callifer, del psicanalista dott. Kreutzer, perfetto agnostico; altre sono coperte da uno spessore d'ombra, che turba profondamente James Callifer, figlio minore dello scienziato, ogni volta che deve entrare nel capanno degli attrezzi. Altri motivi di angoscia opprimono il giovane James: ha divorziato dalla moglie Sara per incompatibilità; sua madre gli ha sbarrato l'ingresso nella stanza del padre morente. E ogni volta che si parla del capanno degli attrezzi James è preso da strani tremori. Ma che cosa accadde nel capanno degli attrezzi? Chi innesca l'inchiesta è Anna, una ragazzina cresciuta in fretta, con la mania del detective. Ma si capisce che Greene disegna scherzando un piccolo angelo.
E' stata Anna che ha telefonato allo zio James di venire al capezzale del padre morente; è stata lei a mettere in risalto il capanno degli attrezzi e a collegarlo con le strane fobie di James. Ed è stata ancora lei a telegrafare alla signora Potter, vedova del giardiniere che trovò James nel capanno degli attrezzi. S'era impiccato in un impeto di disperazione, dopo che suo padre gli aveva brutalmente annientato, con le sue teorie, ogni fede religiosa. Ma infine chi riportò in vita James? Si parla ancora adesso di un collasso dal quale il ragazzo si sarebbe ripreso naturalmente. Ma Potter giurava, e la vedova ne ripete le parole, che James era proprio morto.
Un miracolo, dunque? Chi altro c'era nel capanno degli attrezzi? L'altro zio di James, William, allontanato dal fratello scienziato per le sue idee religiose, che l'hanno portato a farsi prete. E James, di corsa, va dallo zio, Padre William. E trova un uomo invecchiato, sformato, mezzo ubriaco, governato da una piccola perpetua, che vorrebbe spedirlo a letto. Ma si sente che ci siamo avvicinati alla mina, la commedia sta per esplodere: infatti, quando vincendo molte resistenze, e con un buon soccorso di whisky, il prete si accinge a narrare, James ascolta la storia più incredibile: il prete ha adoperato la sua sola arma, la preghiera; ma accompagnata da un voto: l'offerta della cosa più preziosa che egli possieda: la propria fede. Ora la memoria del ragazzo si illumina: ricorda una voce lontana che lo chiamava, e se stesso che tornava indietro attraverso una caverna di buio. Così, nei libri di parapsicologia, i morti descrivono il loro ritorno alla vita. Ma intanto il prete sentiva al collo un dolore straziante, come se l'impiccato fosse lui. Con l'offerta della fede egli aveva ridato la vita al ragazzo, e s'era preso la sua morte. Infatti, privato della fede, che Dio aveva accettato (e qui è il seme del miracolo) il prete s'era degradato come abbiamo visto.
La guarigione di James è anche la guarigione del prete; Dio aveva forse programmato questo arcano appuntamento. E poiché è festa grande, veniamo a sapere dalla madre di James, che anche lo scienziato era convinto del miracolo e non lo affermava per non dover rinnegare tutti i suoi libri.
Lo spettacolo è stato diretto da Sandro Bolchi, con la discrezione e l'oggettività di quei registi, che sanno scomparire, arte somma, dietro il loro prodotto. Aldo Buti ha ingegnosamente adattato l'ambiente naturale, con piccole, ariose variazioni dei luoghi. Il cast era ricco: Regina Bianchi, reduce da una lunga malattia, che l'ha resa più diafana e spirituale, era la madre di James; Margherita Guzzinati era la moglie divorziata, giovanilmente turbata, nel suo desiderio di ragione e al tempo stesso di fede. Rina Franchetti, maestra nel disegnare incisive figurine, era la vedova del giardiniere, Micaela Giustiniani la vigile e affezionata perpetua. Degli uomini va lodato in particolare Carlo Simoni, il giovane James, miracolosamente trattenuto dalla nevrosi a un'età inferiore a quella reale, Enrico Baroni, il fratello John, Giorgio Bonora, Baston, compagno di lavoro dello scienziato, Sergio Fiorentini, un asciutto psicanalista, Rodolfo Santini, compagno di camera di James.
Un cenno a parte merita l'interpretazione di Mario Maranzana, Padre William, letteralmente gonfio della sua degradazione e del suo segreto. Il quale, forzato a uscire dall'insistenza del giovane nipote, pare che si liberi con uno scoppio, uno schianto della persona del prete, come rombando esce un demonio da un esorcizzato. E' il momento tragico e risolutore del dramma, così come la giovanissima Anna, Joyce Leoni, l'angelo bambino, è l'inizio aereo e scherzoso di una spericolata ricognizione nell'aldilà, e relativo ritorno.
Applausi e chiamate agli attori, più volte tornati alla ribalta.
GIORGIO PROSPERI, Il Tempo 24 luglio 1987
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