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Gente - La recensione di Gastone Geron
 

A Borgio Verezzi San Francesco viaggia in moto
"Non voglio raccontare una biografia, ma una cronaca, ecco, quella sì la posso tentare", dice testualmente L'uomo che vide Francesco all'inizio del dramma che proprio con questo titolo il regista polacco Krzysztof Zanussi ha tratto, con la collaborazione di Piero Ferrero, da un romanzo il francese Joseph Delteil (1894-1978). Tenuto a battesimo davanti al Duomo di San Miniato (Pisa), lo spettacolo ideato dall'irriducibile "grande vecchio" Giulio Paternieri e prodotto da Franco Ghizzo, patron del milanese Teatro Nuovo, ha avuto definitiva consacrazione nella piazzetta di Borgio Verezzi, in provincia di Savona, dominata dalla medievale chiesa di Sant'Agostino. Spogliato di ogni sovrastruttura scenografica, unicamente affidato alla suggestione architettonica-paesaggistica che promana dal cuore del borgo saraceno arrampicato sopra Pietra Ligure, L'uomo che vide Francesco ha particolarmente avvinto la platea con un racconto che non si esaurisce nell'ennesima variazione biografica sul "poverello di Assisi" ma prende spunto dalla lontana "esplosione del Francescanesimo" per un realistico confronto tra il passato e il presente o, meglio, tra la gioventù di sette secoli orsono e quella postsessantottina, alla soglia del Duemila. Senza infingimenti ipocriti, anzi con piglio temerario, il regista polacco che tredici anni orsono portò sulle scene il dramma Giobbe del suo connazionale Karol Wojtyla, ovvero Papa Paolo Giovanni II, catapulta in scena un Francesco ventenne che scorrazza su un motofurgone assieme all'allegra brigata dei confratelli in saio per più innanzi riapparire a cavallo di una roboante moto. Del resto è quasi perennemente in bicicletta anche "l'uomo che vide Francesco", ovvero il contadino nostro contemporaneo che fa da testimone e da "storico" dei sette episodi che svariano, senza soluzioni di continuità, dalle moderne motorizzate campagne alla cruda realtà di un mondo rurale agli albori del Duecento, accompagnando con citazioni di filosofi, sociologi e scrittori la rilettura di remoti avvenimenti che, si può ben dire, sconvolsero il mondo, contrapponendo alla potenza e alla ricchezza della Chiesa di Roma la povertà totale invocata dal fraticello di Assisi.
Lontano da qualsiasi coloritura mistica, anzi con ricercato distacco profano, è il suadente Carlo Simoni a impersonare "il ciclista" che fin dalla prima battuta sostiene di aver visto, ma forse sarebbe più esatto dire "rivisto", san Francesco. Alla colloquiale capacità evocativa che Carlo Simoni amabilmente conserva all'"uomo che vide" si contrappone lo slancio coinvolgente e cristallino con cui l'attore Maximilian Nisi (che l'anno scorso a San Miniato e poi a Borgio Verezzi era stato l'altrettanto indimenticabile mozzo Billy Budd nell'omonimo dramma tratto dal famoso romanzo marinaro di Herman Melville) trasmette intatta "l'aria semplice, mansueta e insieme selvaggia" che l'autore attribuisce al giovane Francesco che, prima di mutar radicalmente vita, aveva addirittura voluto sperimentare la crudezza della guerra pagandola con un anno di dura prigionia.
Accanto alla giovinezza erompente del protagonista, che in certi momenti sembra la reincarnazione di un beat dei nostri giorni, Maggiorino Porta si compenetra nella mentalità mercantile di papa Bernardone che al "ragazzaccio" non perdona di avergli sottratto le stoffe più belle per distribuire il ricavate ai poveri e rimettere in sesto una chiesa in rovina.
Antonio Pierfederici conserva a sua volta ingenuo candore al vecchio prete di San Damiano che con la semplice lettura del Vangelo ha il potere di spingere Francesco non tanto a predicare il Vangelo quanto a coerentemente viverlo.
Accanto al sestetto degli scatenati fraticelli simpaticamente tratteggiato dagli acrobatici Gaetano Lizzio, Andrea Nicolini, Massimo Di Michele, Danilo Bertazzi, Fabio Amoroso e Alessandro Bottacci, acquistano rilievo le due sole presenze femminili con Frida Bruno a far risaltare la verginale purezza di Chiara, la santa fondatrice delle Clarisse, e con Sara D'Amario a dare altrettanto nitido disegno all'ammogliata Giacoma la cui presenza imbarazzante a fianco di tanti uomini è risolta da Francesco con il ribattezzarla pubblicamente "frate Giacomo".
GASTONE GERON, Gente, 17 agosto 1998




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