La recensione
San Miniato: stasi critica
Con Riunione di famiglia di T. S. Eliot, andato in scena ieri con la regia di Mario Ferrerò nella chiesa di San Francesco, la «festa» dell'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato è giunta quest'anno alla sua XVIII edizione; l'excursus di codesto festival è costellato, per lo più, da tappe estremamente significative per chi volesse dedicarsi all'elaborazione di una moderna storia del teatro di ispirazione cristiana e religiosa, oggi, in Italia. Anzi non sarebbe difficile constatare come codesta storia, tutta o quasi, sia rimasta più volte racchiusa nei suoi momenti, non numerosi ma eclatanti, tra le mura della antica ospitalissima cittadina toscana; e come essa sia stata contrassegnata da innumeri difficoltà non tanto di natura economica, ma quanto, e direi soprattutto, di ordine interno, come certe ingiustificate incomprensioni che derivavano, soprattutto nel passato, proprio da taluni ambienti ecclesiatsici che nel Festival sanminiatese vedevano una pericolosa occasione di anticonformismo, per dir così, religioso.
Nulla di più errato: se San Miniato resterà nella storia del teatro italiano moderno, vi resterà come la sola manifestazione capace di una seria promozione di un teatro contemporaneo cattolico disincagliato da aspetti e significazioni parrocchiali. Basti pensare proprio alla drammaturgia di Eliot, la cui scoperta italiana si deve appunto, all'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato nel 1948 quando venne rappresentato per la prima volta, con la regia di Giorgio Strehler il capolavoro del grande poeta: Assassinio nella cattedrale.
Detto questo non si può, di contro, non registrare come si stia oggi verificando se non una crisi, di certo una stasi in quest'opera di moderna proposta critica di un teatro religioso: la messa in scena di Riunione di famiglia (rappresentata ieri con grande successo di pubblico) di un testo cioè reso noto da Enzo Ferreri a Bergamo nel 1954, sta a comprovarlo. Ci troviamo cioè di fronte non più ad una stimolazione polemica e provocatoria (e San Miniato ne è stato ricco), di un engagement morale che si è posto talvolta anche al di là dei confini di una mera religiosità cattolica, bensì ad un momento di stasi che rende perplessi e che certo è anche il riflesso della crisi più generale e complessa della drammaturgia moderna tout-court.
Riunione di famiglia racconta la storia di una famiglia benestante inglese che decide di incontrarsi per festeggiare il compleanno della vecchia Amy, la prima di quattro sorelle, vedova, madre di tre figli, dei quali Harry il prediletto, ha abbandonato la casa ormai da otto anni per sposare la donna che tendeva ad allontanarlo sempre più dalla sua casa. Si può dire, anzi, che Amy abbia promosso codesto party proprio perché Harry al suo ritorno potesse trovare tutto immutato in quella che fu la propria casa: dagli affetti domestici, all'arredamento, alla collocazione delle cose proprio come un tempo. Ma sarà appunto questa fittizia coesione tra uomini e cose che porterà Harry ad una sorta di subitanea ribellione. Dirà «È molto innaturale arrestare questi normali mutamenti».
Harry era toranto con un bagaglio di colpe, anzi di peccati, ma anche con una malcelata volontà di espiazione: Harry accortosi di non amare la propria moglie un giorno non aveva esitato, durante una crociera, a sospingerla in mare. Anche il padre non aveva mai amato Amy e anche lui fu tentato più volte di sbarazzarsi della propria moglie proprio perché costei era incinta di Harry. E quando la zia Agata, sorella di Amy, che amò riamata il cognato, narra questo passato al giovane, costui si sente come colpito da una rivelazione atroce ma, allo stesso tempo, liberatrice. «Qualsiasi cosa accada — dice Agata — cominciò nel passato e preme forte sul futuro». Harry quindi non potrà adagiarsi nel formale perbenismo di quella casa se vorrà davvero espiare non soltanto le sue colpe. Ma dovrà andarsene, dovrà cercare altrove la «verità» e quello specchio dell'anima che non potrebbe mai trovare nella dimora di campagna dei suoi.
Riunione di famiglia, è parso a noi come un dramma estremamente complesso pur nell'unità di tempo, di luogo e di azione tanto cara al poeta da non distaccarsene neppure, come si ricorderà, in Assassinio nella cattedrale e in Cocktail-party, i suoi maggiori componimenti.
Complesso, dicevo, poiché più elementi giocano in esso un ruolo primario: quel passato che si proietta in chiave psicanalitica sul presente e sul futuro, da la giusta misura della portata psicologicamente introspettiva del dramma: e ancora: Eliot, l'Eliot di questa Riunione di famiglia, dimostra di aver sudato su Henrik Ibsen. L'atmosfera degli Spettri ibseniani è l'atmosfera di quest'opera: il suo naturalismo è quello della riunione eliotiana. I fini diversi, ovviamente: di rottura nel drammaturgo norvegese, di ricomposizione religiosa e spiritualistica nello scrittore anglosassone.
La regia di Ferrerò, il cui felicissimo esito spettacolare molto deve alla scarna intelligenza scenica di Pierluigi Pizzi, ha collocato nella giusta luce i valori dell'opera: nello spezzettamento a più voci del coro, unico invece nel testo, e nella interpretazione: impeccabile e di altissima qualità soprattutto in Elsa Albani. E poi in Rossella Falk, in Manlio Busoni, in Edoardo Toniolo, in Luigi Vannucchi (un Harry nevrotico più del necessario), in Nora Ricci, in Maria Teresa Albani (eccessivamente caricaturale), in Piero Sammataro, in Corrado Annicelli. La traduzione poeticamente compiuta era di Salvatore Rosati. Le musiche di Roman Vlad. Lo spettacolo cui ha arriso un fervidissimo successo, si replica fino al 30 agosto.
LAMBERTO TREZZINI, Paese Sera, Roma, 26 agosto 1964
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