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L'Unit� - La recensione di Aggeo Savioli
 

RITRATTO DI UN ORDINE (ORMAI SFASCIATO) IN UN INTERNO
La figuretta più toccante è quella di Alì, ragazzino turco (o arabo?) , convertito al cristianesimo, che nei momenti cruciali chiama: «Jesù...Jesù...Allah...Allah...». Voce dell'innocenza, conciliatrice di due grandi confessioni monoteisti. Parliamo del lavoro teatrale I Templari di Elena Bono, autrice di lunga e varia esperienza, riaffacciatasi ora a San Miniato, dove, nel 2000, aveva visto accolto da vivo successo un altro suo testo, Le spade e le ferite, ispirato alla vicenda di Federico II e del papa Innocenza IV. Anche stavolta l'argomento, ricavato liberamente dalla storia, ha implicazioni religiose, politiche e (perche no?) economiche. Fu infatti una potente organizzazione per diversi aspetti, non ultimo quello finanziario, l'Ordine dei Templari, monaci-guerrieri che ebbero la prima sede centrale a Gerusalemme, dopo la partecipazione alle Crociate, e si sparsero quindi per tutta l'Europa del tempo. Nel 1307, a poco più di un secolo dalla nascita, la struttura divenne oggetto di una campagna di sterminio per volere del re di Francia, Filippo il Bello, istigato da qualcuno dei suoi consiglieri, e con l'assenso non troppo convinto del pontefice Clemente V. Finché, nel 1314, lo stesso Gran Maestro dell'Ordine Jacques de Molay venne arso sul rogo. Tra le colpe di cui si faceva carico ai Templari (dall'eresia alla sodomia) non mancava l'alchimia, ovvero la immaginaria pratica di trasformare i metalli vili in oro. In verità, stando a quel che sembra accertato, le ingenti ricchezze accumulate dai Cavalieri (e debitamente all'epoca confiscate), derivavano in buona sostanza dagli interessi sui prestiti da loro concessi in concorrenza con le maggiori banche sostenute dai «poteri forti», Chiesa e Stato. L'azione drammatica si svolge in Italia, sulla costa tirrenica meridionale, in una torre già rifugio e ora prigione di templari superstiti; e la disputa si accende tra il Precettore dell'Ordine e un misterioso inviato d'Oltralpe. Ma altri personaggi sono in campo, dal carceriere detto Pocapaglia allo scudiere Rocco da Sezze; uno spiccato rilievo ha il novizio Amadeus von Waldenburg da Tindari, ordinato cavaliere mentre agonizza: colpito a morte in un vano tentativo di resistenza all'irruzione delle forze ostili. A quella del piccolo Alì si aggiungono altre figure, femminili queste, di vittime dell'iniquità dei tempi e della ferinità maschile: le giovani sorelle Gisa e Tota, stuprate entrambe dal padre. Non difettano, dunque, richiami all'attualità dell'uomo e del mondo, nell'intreccio complesso di temi e motivi, che l'opera propone. Preminente su tutto il ragionato sospetto che progetti e utopie escogitati con le migliori intenzioni, quali furono, così pare, quelle che presiedettero alla nascita dei Templari, possano tramutarsi in violenza e sopraffazione. Come non vedere nella stessa gerarchia dell'Ordine la negazione di quegli ideali di uguaglianza e fraternità pur solennemente proclamati? Interrogativo che, con altri non meno pertinenti, si esprime dall'avvincente spettacolo, diretto con mano sicura da Pino Manzari, già allievo e collaboratore di Orazio Costa. La puntuale scenografia è di Daniele Spisa, i costumi di Antonella Zeleni, le musiche di stampo medievale sono di Roberto Tofi. Bene assortita e valorosa la compagnia: Massimo Foschi, Gabriele Carli, Umberto Ceriani, Marco Spiga, Mattia Battistini, Maria Elena Camaioni, Silvia Pagnin e l'impegnatissimo attore-bambino Federico Orsetti. Si replica fino al 24 luglio.
Aggeo Savioli, L'Unità , Roma, 21 luglio 2002




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