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Stampa diocesana novarese - La recensione di Fornara
 

Se avessimo più fede, ci ritroveremmo il miracolo in casa
La sera di giovedì 16 luglio, festa della Madonna del Carmine, a San Miniato al Tedesco, in provincia di Pisa, nell'ambito della 46° Festa del Teatro, è stato rappresentato il dramma Ordet («La parola»), del danese Kaj Munk.
L'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato, fondato nel 1947 da un gruppo di Sacerdoti e laici di quella amena località toscana, è divenuto, in questi quasi cinquant'anni di vita, una delle più alte testimonianze della cultura contemporanea, con particolare riferimento alla «cultura dello spirito», che passa attraverso o accanto alla «cultura del fatto religioso».
Di questo annuale appuntamento con il fatto teatrale, come strumento di trasmissione o di discussioni di idee e di proposte, siamo ormai testimoni da 14 anni, ed a San Miniato torniamo sempre con gioia, certi di rientrare a casa con un carico nuovo di cose belle e vere.
E' quanto ci è accaduto, in particolare, quest'anno, vedendo, anzi «vivendo» il dramma di Munk.

CHI FU MUNK
Kaj Munk nasce a Maribor, isola della Danimarca, nel gennaio del 1908 e muore presso Silkeborg, all'età di 36 anni, vittima della Gestapo.
Rimasto orfano a cinque anni, fu educato in un ambiente molto religioso. Dopo aver compiuto gli studi di teologia a Copenaghen, diviene Pastore nella Parrocchia di Veders, sulla costa.
Natura aperta, impetuosa e generosa, si propone come la maggior personalità in Danimarca negli anni fra le due guerre mondiali.
Cominciò a scrivere drammi da giovanissimo. Ci fu un periodo in cui fu suggestionato dalla figura dell'«uomo forte»; da qui l'esaltazione di uomini che sembrarono prendere le redini delle Nazioni. Ma con l'occupazione della Danimarca da parte dei tedeschi, il suo atteggiamento cambia radicalmente. Da allora combatte con la parola e con gli scritti l'invasore tedesco. Fu una battaglia che si avvaleva, secondo i casi, del pulpito e della tipografia. Le sue poesie e le sue stesse prediche furono  pubblicate alla macchia.
«La sua natura era la sfida e la sua strada portava diritto alla catastrofe: egli era pronto, quando fu preso da una banda di tedeschi, ed ucciso con un colpo alla nuca», dice Moller Cristensen.
Il suo traduttore italiano assicura che Munk scrisse in vita ben 60 drammi. Noi, per la verità, non ne conosciamo nessuno, tranne Ordet.
Questo, infatti, non solo l'abbiamo visto realizzato a San Miniato, ma nel passato l'avevamo visto ridotto per lo schermo, prima, nel 1945, da Gustav Molander, e poi, indimenticabile, uno dei capolavori della cinematografia di tutti i tempi, in quell'essenziale Ordet di Carl Theodor Dreyer, che nel 1955 vinse il «Leone d'Oro» alla Mostra di Arte Cinematografica di Venezia, e che divenne uno dei «cavalli di battaglia» della cultura umano-teologica della nostra generazione.

ORDET = LA PAROLA
Munk scrisse Ordet nel 1925. L'opera, in quattro lunghi atti, fu rappresentata per la prima volta a Copenaghen nel 1932, suscitando subito polemiche e discussioni in tutta la Scandinavia.
Infatti, l'azione di Ordet vuol dimostrare la possibilità dei miracoli: se essi più non avvengono ai nostri giorni, è perchè si è perduta la vera fede: credere veramente in Dio significa, infatti, credere nei miracoli.
L'azione si svolge ai nostri giorni, in una ricca fattoria della Jutlandia, in possesso della famiglia dei Borgen da ben nove generazioni. L'attuale proprietario, l'ostinato Mikkel Borgen, convinto seguace di Grundtvig e propugnatore della sua dottrina, soffre nel vedere i figli seguire vie diverse da quelle da lui pensate. Il maggiore, Mikkel, non erediterà la fattoria, perchè non condivide la fede del padre; Anders, l'erede, vuol sposare ad ogni costo la piccola Anne, figlia di un povero sarto, Peter, fondatore di una nuova setta religiosa al di fuori della Chiesa di Stato ed in opposizione al Grundtvigianesimo; Giovanni, già brillante studente di teologia ed oggetto delle più ambiziose speranze da parte del padre, vive in uno stato di semifollia, convinto di essere Gesù di Nazareth, da quando la fidanzata, indirettamente per colpa sua, è rimasta uccisa in un incidente, ed egli non ha sentito in sé la fede necessaria per chiedere a Dio di restituirgli l'amata.
Sebbene avesse sognato ben altro matrimonio per Anders, il vecchio contadino si mostra infine disposto ad accogliere Anne come nuora, ma il padre di lei, nel suo cieco fanatismo religioso, si oppone. Solo quando Inger, la mite sposa di Mikkel, muore di parto, Peter conduce egli stesso Anne dai Borgen: per sua mano lo stesso Dio che ha tolto al vecchio una figlia, gliene dà ora un'altra.
La morte di Inger riempie tutti di dolore e di disperazione, ma nessuno ha la fede necessaria per invocare il miracolo, salvo Johannes. Riacquistata la ragione davanti al cadavere dì Inger, egli si era ritirato nella solitudine per chiedere a Dio di concedergli di richiamarla in vita; ed ora torna, sicuro dell'assenso divino, ed ordina alla donna dì alzarsi.
Tra lo stupore dei presenti, Inger risuscita e si leva dalla cassa in cui era già stata composta, mentre il Pastore nega l'evidenza, dichiarando impossibile il miraco-
lo «dal punto di vista religioso ed etico», ed il medico si lamenta di non essere stato chiamato a redigere l'atto di morte. Gli altri non esitano ad intonare un inno di ringraziamento al Signore.

IL TESTO A S. MINIATO
A rappresentare Ordet di Munk a San Miniato era la Compagnia Teatrale di Mario Scaccia, che aveva pure liberamente adattato l'opera, su traduzione di Annuska Palme Sanavio, e ne era così divenuto anche regista.
La serata è stata memorabile. Cerchiamo di spiegare perchè, il più sinteticamente possibile.
1) Noi quest'opera, come già detto, non la conoscevamo, se non «per interposta persona», e cioè per l'edizione cinematografica di Dreyer.
Non siamo pertanto in grado di dire fino a che punto l'adattamento operato da Scaccia sia rimasto fedele al testo originale.
Tuttavia, dobbiamo dire che quello che abbiamo visto a San Miniato era teatro, e di quello buono, di quello, per intenderci, finalmente popolare, in grado cioè di venire compreso da tutti, in grado, anche, come appunto è avvenuto giovedì 16, di smuovere il pubblico, di farlo diventare parte attiva di un fatto «sentito e vissuto».
2) Noi, delle restanti 59 opere teatrali di Munk non conosciamo assolutamente nulla. Forse potremmo anche dolercene, ma dobbiamo dire che ci basta Ordet, almeno così come ce l'ha proposto quel mimo incredibile che è Mario Scaccia.
Infatti, crediamo che le sottili distinzioni teologiche non possono toccare più di tanto la nostra vita: quello che conta è «credere anche contro ogni ragionevole speranza», proprio come il Signore è venuto un giorno a proporci con la parola e con i fatti. Perciò largo alle cose, e bando alle discussioni più o meno fumose: è sulle cose che ci si può e ci si deve ritrovare, come, da ben più alta cattedra, ci ha insegnato l'attuale Pontefice, ad esempio con l'incontro ecumenico di Assisi.

GLI ASSUNTI DI «ORDET»
Munk ci presenta in Ordet uno spaccato di vita del suo mondo nordico, ma che è di fatto quello di tutta la umanità occidentale.
La Chiesa ufficiale, a mezzo del Pastore (Carlo Greco), rimane passiva, prima; poi, addirittura delirante contro i fatti dello spirito, che non trovano modo di passare direttamente attraverso la sua logica.
Il positivismo, presente con la figura del Dottore (Denny Cecchini), gioca tutte le sue carte, ed alla fine si scontra con la realtà del miracolo, che travalica ogni altra realtà, e mette a nudo la pochezza della mente umana, quando crede di essere diventata la solutrice di tutti i problemi.
L'ateismo, che il giovane Mikkel (Gianluca Farnese) impersona, a questo punto si scontra con il mistero della fede, due parole che da sole farebbero tremare le vene ed i polsi, se vi mettessimo più attenzione. Perchè il mistero è qualcosa che travalica ogni nostra concezione, e che ci fa diventare tutti dei Tommaso, che prima vogliono verificare, e poi si mettono in ginocchio, sopraffatti; e la fede, che è veramente dono, altrimenti non è nulla, rimane il trionfo della più ampia libertà di scelta da parte dell'uomo, che a questo punto rinuncia alla sua razionalità, per «accettare sulla parola» quanto gli viene indicato da Dio: «Tu hai creduto perchè hai visto; beati quelli che hanno creduto senza aver vinto!» (Gv. 20,29).

MORTE O RISURREZIONE?
A questo punto nasce il secondo problema, messo a fuoco da Ordet, là dove nasce lo scontro fra il vecchio Mikkel Borgen (Mario Scaccia) e Peter il sarto (Maggiorino Porta) a proposito della fede e della vita: la fede è gioia o è sofferenza?
Munk, almeno nella versione di Scaccia, è chiaro, e sta dalla parte della gioia, anzi della vita: la risurrezione della giovane Inger (Consuelo Ferrara) avviene in
questa luce (ed Inger compare proprio nella luce e per dare luce). Anzi, nella vita, perchè la «parola» ha ridato la vita in tutta la sua pienezza, anzitutto a questa giovane donna, e poi alle due famiglie che la circondano, ed infine a tutti noi, che ne abbiamo seguito le vicende.
Forse è giunto il tempo che anche per noi, cristiani di oggi, ma non dissimili da quelli di Ordet, il Cristianesimo tomi ad essere fonte di vita, fonte di gioia, fonte di speranza, fonte di amore. Soprattutto perchè troppe volte, prima e dopo il Giansenismo, lo abbiamo ridotto a morte ed a sofferenza.
E' vero, Cristo è venuto al mondo per morire; ma, ed è Paolo che ce lo ricorda imperiosamente, soprattutto per donarci la sua risurrezione: «Se Cristo non è risuscitato, la nostra predicazione è senza fondamento e la vostra fede è senza valore!» (ICor. 15,14).

RITORNARE BAMBINI
Ecco allora perchè il dramma di Munk è incentrato su due creature a loro modo simili, perchè ambedue innocenti ed a-razionali (non ir-razionali): Johannes il pazzo (David Gallarello), e la giovanissima Maren (Giada Veracini). E' da loro che vengono le grandi «parole»; è da loro che nascono le grandi attese; è da loro che la «parola» torna ad avere quello spessore che Gesù ha voluto darle: «Vi assicuro che se avete fede (...), potrete anche dire a questa montagna: «Sollevati e buttati nel mare», ed avverrà così!» (Mt 25,21).
Dunque, bisogna «tornare bambini», proprio nel significato evangelico: «Se non cambiate e non diventate come bambini, non entrerete nel regno di Dio» (Mt 18,2).
A questo punto la «parola» diventa qualcosa di palpabile, qualcosa che supera ogni possibilità di dubbio, di esitazione, di incertezza, ma anche di razionalità deteriore, perchè troppo umana, troppo opportunistica: ed allora, come nell'opera di Munk, anche nella vita di ogni giorno torna a risuonare il «Talitha kum», «Fanciulla, alzati!», (Me 5,41), che riporta alla vita chi era stato, ghermito dalla morte, riporta alla fede chi aveva ritenuto di non poter credere, riporta all'amore chi aveva pensato di avere dalla sua tutta la ragione e si era così scontrato con il fratello.

UN'OPERA ECCEZIONALE
Così, nella rivisitazione di Mario Scaccia, Ordet di Kaj Munk è diventata un'opera eccezionale, capace di smuovere anche lo spettatore più lontano e di farlo partecipe di così grandi cose, ma, soprattutto, di farlo attore del trionfo della vita, della gioia, della luce e dell'amore.
E scusate se è poco!
Il merito di tutto ciò, inutile dirlo, va a quell'autentico «animale da palcoscenico» che è Mario Scaccia, stupendo vecchio ostinato ma fedele Mikkel Borgen.
Degli altri attori, fatta salva la bravura e la partecipazione di tutti, ci sia consentita una sottolineatura per la interpretazione di Maggiorino Porta nelle vesti di Peter il sarto, e, soprattutto, di David Gallarello, un eccezionale Johannes il pazzo.
Eccellente la scenografia di Mario Padovan. Stupenda la Corale Mons. Balducci, una vera sciccheria musicale ed interpretativa.
Purtroppo, Ordet è stato pensato e realizzato per la piazza del Duomo di San Miniato al Tedesco: non è quindi trasportabile fuori. Non potrà essere visto in periferia. Eppure, se lo meriterebbe a pieno titolo.
BARTOLO FORNARA, Stampa Diocesana Novarese 25 luglio 1992




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