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La recensione di Aldo Mencarelli
 

Giobbe, il dolore dell' innocente
Un grande fascio di luce azzurra avvolge Eliu e Giobbe mentre si allontanano, vanno incontro al loro destino: sconfitti da una sofferenza che noti trova ragione di esistere? O con una nuova forza dentro con la quale affrontare le avversità? Le loro ombre si stagliano, prima nitide poi sempre più sfuocate, sul grande e massiccio muro del palazzo. Ed è quell'ombra in movimento la non conclusione di un dramma della sofferenza in cui l'umanità è stata avvolta fin dalla sua origine.
Giobbe, il testo di Karol Wojtyla scritto a Cracovia nel 1940 quando l'uomo che oggi è il papa non aveva che vent'anni e quando la Polonia era invasa dai nazisti, va in scena a San Miniato con la regia di Aleksandra Kurczab, la supervisione alla regia di Krzysztof Zanussi, le musiche di Tony Cucchiara, le scene di Sergio D'Osmo, i costumi di Gianni Garbati. Lo recitano attori come Ugo Pagliai (Giobbe), Paola Gassman (Eliu), Fiorella Buffa (la moglie di Giobbe). Va in scena su una strada leggermente curva, con un'ansa che la fa assomigliare ad una piazza sulla quale si aprono delle porte, scendono delle scalinate. Una scenografia naturale fa da contorno ad una rappresentazione di un testo dal forte contenuto cattolico: la sofferenza — un tema sul quale Karol Wojtyla è spesso tornato durante il suo pontificato — è il mezzo attraverso il quale Dio riscatta l'uomo. Una sofferenza che, nel testo, è molto vicina alla sventura manzoniana: c'è una ragione per soffrire, inutile cercare di capirla, quella sofferenza va accettata in nome della fede cristiana perché alla fine ci sarà il premiò.
Giobbe soffre. Tanto. E la sua  sventura  arriva all'improvviso. E' ricco, amato, servito ma non ostenta la sua ricchezza, anzi è prodigo verso i poveri. Eppure perde tutto: i figli, gli animali, la casa. E si ritrova solo, disperato. Perché? Comincia a chiedere ragione di tutto questo a quel Dio che ha sempre amato, rispettato ed al quale è pronto a dare tutto. Perché non c'è una ragione a  tutto questo.
Ugo Pagliai è attore di grande esperienza e, qui, dimostra di essere grande nel suscitare emozioni profonde. Ma anche emozioni contrastanti: la sua ricerca di una ragione alla sua sventura perde momento dopo momento il senso cattolico dell'accettazione e si carica di un piglio di ribellione che si scontra con l'impotenza dell'uomo di fronte alle cose. E, alla fine, la sua domanda rimane inevasa. E' la domanda del nostro vivere l'oggi: su questa strada — teatro arrivano rombanti tre scooter con un gruppo di ragazzi con giubbotti di pelle, prendono un uomo con una camicia bianca ed i pantaloni neri, lo legano ad una sedia e lo picchiano. Poi ecco una Renualt 4 rossa: si apre lo sportellone posteriore e l'uomo viene scaraventato dentro. Egli si accoccola nel piccolo spazio ed uno di quei giovani spara con una mitraglietta. E subito dopo ecco trascinato un prelato: aneh'egli picchiato, malmenato. Ed ancora: a gruppi, gente povera, affamata. Scene a metà tra teatro e cinema, effetti cinematografici trasferiti in uno spettacolo teatrale.
Su tutto lo sguardo attento di tre uomini vestiti di bianco con lunghi mantelli neri. Come non pensare alla strage di via Fani, all'assassinio di padre Popieluszko, alla violenza nel Libano, al dramma della fame nell'Etiopia? Come non considerare i tanti Giobbi sparsi ancora oggi nel mondo?
Kurczab e Zanussi hanno rappresentato con grande capacità. Lo spettatore è coinvolto in un turbinio di suoni e di immagini dai quali1 viene preso, dei quali egli stesso diventa parte. Impossibile non avvertire un profondo senso di angoscia per ciò che lo spettacolo ci ricorda. E' il sentimento successivo che questa regia sembra voler lasciare libero: rabbia e ribellione? oppure senso mistico di accettazione?
Zanussi, parlando dello spettacolo, dice che il tema della sofferenza è un tema universale, un tema al quale ci si può accostare da diverse angolature ma sul quale si può sempre condurre in maniera opposta a quella di partenza. Come dire che da questo dramma scritto sotto l'ispirazione cattolica può ricavarsi anche un insegnamento marxista,  rivoluzionario. Aleksandra Kurczab  sembra  più ermetica: dice che lo spettacolo inizia con una frase (« queste cose accaddero nel Vecchio Testamento, queste cose stanno accadendo nei giorni nostri ») poi ci sono due livelli del racconto teatrale: quello fedele al testo e quello della sua regia. Giobbe ed Eliu che se ne vanno avvolti da un fascio di luce azzurra possono camminare verso il premio divino guadagnato con tanta sofferenza, ma possono rappresentare anche tutti i Giobbi del mondo che agiscono. Nel 39esimo anno di attività dell'Istituto del Dramma Popolare, San Miniato si colloca così al centro di un confronto ed una analisi che sta nella storia del mondo. E' insieme un segno di crescita di questa « festa del teatro » ma costituisce anche un delicato segnale. Si replica fino al primo   agosto.
Aldo Mencarelli Paese Sera, Roma, 27 Luglio 1985




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